MIGRAZIONI ED INTEGRAZIONI, ecco perché funzionò 500 anni fa a Venezia





Il caso degli albanesi a Venezia tra il 1400 ed il 1500
INTEGRARE I MIGRANTI



Dal passato ci giungono racconti che smentiscono l’eccezionalità del momento ma dovrebbero farci riflettere. Oggi come ieri i pregiudizi ed il mistero insito nello sconosciuto (o del non conosciuto) non hanno generato solo difficoltà al superare i muri che si creavano ma hanno suggerito soluzioni che si potevano percorre.
Dobbiamo vedere la Venezia del medioevo alla stregua di "NY, la grande mela" ed i "foresti" rappresentavano almeno un terzo dei 120.000 residenti. Gli studiosi che hanno cercato di suddividere le presenze dei "foresti" per paese di provenienza, (calcolo molto aleatorio perché chi proveniva dai paesi al di là delle Alpi era un "todesco" e gli albanesi assoggettati agli ottomani erano chiamati "turchi"), parlano di 5.000 greci, di quasi 10.000 tra slavo-dalmati-albanesi e tedeschi, senza contare gli oltre 1000 ebrei censiti all'inizio del 1500 e quel numero sconosciuto di "italiani" tra fiorentini, lucchesi, lombardi e friulani approdati in laguna per motivi economico-produttivi, artistici o di studio.
Ciò smentisce chi sostiene presunte purezze etniche anzi si rafforzano le peculiari vocazioni di Venezia: essere multiculturale e cosmopolita. 
Nella sua millenaria storia la Serenissima ha sempre cercato di trasformare le emergenze create dai flussi migratori e dalle sempre più frequenti unioni tra nativi e ‘foresti’ in opportunità, in occasioni di lavoro, in scambio di saperi  e conoscenze.
Culturalmente era una "pentola" in continua ebollizione, cioè di culture in costante evoluzione. Quindi grazie ai "foresti" poteva non solo riequilibrare la bilancia demografica (cioè più braccia-forze-lavoro) ma riusciva ad assecondare la "naturale" crescita socio-economica della città e delle innovazioni tecnologiche.
Se Venezia avesse accettato un costante ma disorganizzato arrivo di nuovi immigrati avrebbe potuto esistere per oltre mille anni?
Qualche tempo fa mi è capitato tra le mani una pubblicazione che, per l'attualità dei contenuti e per come il fenomeno migranti fosse stato affrontato da Venezia più di 500 anni fa, merita essere portata all'attenzione di chi aspira a creare nel Veneto un modello di Stato indipendente, autonomo e gestito dai veneti.
Allora lo spirito dell'accoglienza, dichiarato senza ipocrisie, era motivato da valori cristiani ed economici. 
Chi arrivava in laguna doveva accettare e rispettare le leggi marciane ed in cambio la Serenissima gli offriva protezione, rispetto dei suoi princìpi e delle sue tradizioni purchè non fossero in contrasto con le leggi veneziane.
Perché non ripercorrere quelle strade di allora?



"Migrazioni e integrazione. Il caso degli albanesi a Venezia (1479-1552)"
E' il titolo del saggio di Lucia Nadin, studiosa che ha trascorso lunghi periodi di studio e di lavoro in Albania, in cui analizza i fatti storici che iniziano nel 1479, anno della cessione di Scutari ai Turchi dopo che aveva subito a poca distanza di anni due assedi.

In effetti Scutari era stata sotto il dominio veneziano dal 1396 al 1479, essendo in una posizione chiave per i commerci veneziani, una specie di moderno hub al centro di una ricca rete fluviale, di linee marittime dell'Adriatico meridionale e dei traffici da e per i Balcani.
Il controllo dell'Adriatico meridionale era di vitale importanza per Venezia.

La minaccia ottomana esisteva sia per terra che per mare; gli anni di assedi, di massacri e di guerre condotte dai Turchi sulle coste dell'Adriatico orientale ne sono la testimonianza della loro politica per contrastare il potere veneziano nel Mediterraneo orientale.

Sin dal 1363, dopo Durazzo portata via agli Spagnoli, la Serenissima si era annessa anche Valona, l’altro grande porto albanese nel sud del paese.

Come Durazzo e Scutari, molte altre località minori issarono il vessillo marciano rimanendo veneziane, per condividerne i commerci marittimi e per beneficiarne della protezione, fino alla caduta della Repubblica nel 1797.
Portolano del mar Adriatico e le coste dell'Italia meridionale

Come si arriva all'esodo di massa.

Scutari venne ceduta dai Veneziani ai Turchi con la pace del 1479 a conclusione dell'assedio iniziato l'anno prima. La città aveva già subito nel 1474, (cinque anni prima), un altro assedio per mano di Maometto II, conclusosi con la rovinosa ritirata degli assedianti grazie all'eroica resistenza di Antonio Loredan, quando la popolazione era stremata come pure erano compromesse le risorse di tutta la regione.

Potrebbe sembrare un tradimento da parte della Serenissima, invece leggendo le cronache del tempo, si apprende che la perdita di quei territori era finalizzata al salvataggio delle popolazioni e alla loro autodeterminazione.

Chi aveva deciso di non rimanere sotto i Turchi poteva migrare nei territori marciani senza perdere i propri diritti, le proprie tradizioni sociali, economiche e religiose. Il capitano veneziano a Scutari, Antonio da Lezze, aveva fatto pervenire al Senato l'elenco di chi lasciava la città per Venezia, precisando professioni e titoli, in modo da programmare l'accoglienza ed il loro inserimento nella realtà cittadina. Questo episodio segnò il picco massimo della migrazione albanese verso la sponda occidentale dell'Adriatico che continuò per tutto il secolo e fino agli inizi del successivo.
Leon in moeca, Scuola Dalmata dei SS. Giorgio e Trifone

Le misure veneziane adottate a favore degli albanesi.

I documenti d’archivio, venuti alla luce grazie lavoro di ricerca tra Italia ed Albania della Lucia Nadin, conservano la puntuale cronistoria dei provvedimenti a favore delle donne scutarine e drivastine e dei loro figli, fin tanto che erano in vita e i secondi non raggiungevano l’età per ottenere una opportuna sistemazione. Ogni cinque anni, a partire dal 1479, si rinnovavano le liste degli aventi diritto. Alle donne era corrisposto un regolare assegno mensile ed alle figlie era dato, in caso di matrimonio, un aiuto specifico per costituirne la dote.

Venezia era diventata un importante centro di smistamento dei profughi che fuggivano alle avanzate dei turchi, non solo per i civili ma anche per i numerosi sacerdoti che arrivavano dalle aree albanesi e dalmate. Benedettini, domenicani e francescani erano presenti nell'Albania settentrionale fin dal 1200 e furono proprio loro gli ultimi a lasciare quelle terre portandosi dietro (per quel che riuscivano) arredi, immagini sacre e parti di biblioteche.
Scuola di Santa Maria degli Albanesi (sopra particolare facciata, sotto insieme del fabbricato ora adibito ad abitazione civile)



La vita degli albanesi a Venezia.
È la Mariegola della Scuola di Santa Maria degli Albanesi (sorta alla fine del 1400) che testimonia la storia, che registra l'evoluzione dei mestieri e lo sviluppo della comunità. Agli inizi del Cinquecento i generosi lasciti facevano crescere i depositi della banca della Scuola, ciò consentiva non solo di svolgere attività di sostegno alle famiglie bisognose ma anche di investire in oggetti di pregio per le celebrazioni di culto.

La maggior parte di loro risiedeva nel Sestriere di Castello, tra la riva degli Schiavoni e il campo dei SS Filippo e Giacomo, parrocchia di Santa Maria Formosa, vicino alle zone di residenza degli Slavi (Schiavoni) e dei Greci. La loro prima Scuola, quella di San Severo e di San Gallo, fu costituita nel 1442 per gestire i beni della comunità e di mutuo sostegno per gli ammalati e i bisognosi.

Dal quadro delle professioni dei gastaldi fornito dalle liste della Mariegola (periodo 1450-1550 circa) si scopre che le più presenti sono quelle di merciaio, strazzarolo (comprendeva varie attività, dallo scardassiere, cioè chi col pettine strazzava i bozzoli della seta per farli filare fino al venditore di tele), cimatore (chi rasava i peli dei panni), samiter (chiamato così sia il venditore di tela straccia, la “bavela”, come il lavorante /tessitore di drappi di seta), vellutaio, tagliacalze (calze significava calzoni), berrettaio, tintore, zuponer (giubettaio, fabbricante di giubetti), pettener (pettinatore di lane). Questi erano i mestieri più numerosi, a cui seguivano quelli di spadaro, battistagno, sagomatore (lavorante ai recipienti per olio), coffaner (fabbricante di cofani e casse).

Si deduce dai registri che la maggioranza degli albanesi fosse occupata nel settore tessile nelle lavorazioni del cotone, della lana e della seta per un mercato (abbigliamento ed arredi) vasto quanto in continua crescita, come aver generato le numerose ed apprezzate velerie, i laboratori per la produzione delle vele che servivano sia per il mercato interno che per quello internazionale.

L'imprenditoria tessile albanese a Venezia era rappresentata dal mercante “capitalista”, dai maestri artigiani e dai lavoratori più umili; riuniva quel mondo di tessitori, di tintori, di filatori, di "tira e batti l’oro" (decoratori di mobili, di gondole e di cornici con la foglia d'oro), di biancheggiatori, di sartori e di stramazzeri che animava la vita produttiva della città. Come non vanno dimenticati i pellicciai (dai conciatori ai confezionatori di capi d'abbigliamento) che alimentarono l'import-export tra le due sponde dell'Adriatico.

Agli albanesi va accreditata l'introduzione, nelle tecniche di tintura, di una pianta, la robbia (rubia tinctorum), con cui ottenevano un rosso scarlatto acceso, il “rosso turco" o “rosso scutarino”.

Le stoffe con questo colore avevano conquistato i mercati ed erano note quanto il "rosso tiziano", per la tintura dei capelli delle cortigiane.

Il commercio dell'allume, materia prima impiegata nell'industria tessile medioevale che proveniva dalle piazze turche di Trebisonda e Costantinopoli, era in mano alla famiglia Priuli che grazie alle fortune accumulate riuscì ad acquisire il patriziato.

Le proprietà astringenti e antisettiche dell'allume ne spiegano l’uso nella farmacopea, come mordente nella tintura dei tessuti, nel ciclo di trasformazione del pellame in cuoio, nella preparazione della pergamena, oppure come colorante nell’industria della ceramica e del vetro.

Il Senato veneziano nel maggio 1479 affrontò il problema della collocazione a Venezia ed in terraferma dell'alto numero di ecclesiastici albanesi arrivati in laguna ad aumentare la colonia di fede cristiana. Verso la metà del 1500 gli albanesi presenti in Italia e che facevano capo alla chiesa di San Maurizio di Venezia, nell'omonimo campo, deliberarono di abbellire la Scuola adiacente alla chiesa e di "ristampare" una copia in versione lusso della propria Mariegola (purtroppo andata persa, per fortuna esiste una copia del '700).



Testo elaborato e tratto dalla pubblicazione:

Lucia Nadin, Migrazioni e integrazione. Il caso degli albanesi a Venezia (1479-1552) Bulzoni Editore, Roma 2008, pp.241.
 

Prossimamente "Gli Statuti di Scutari", il più antico testo legislativo prodotto nella prima metà del 1300 in territorio albanese e giunto fino a noi.

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