LE PICCOLE PASQUE "FURLANE" DI CUI POCHI SANNO

Ricostruzione della rivolta di un piccolo paese di indomiti friulani.


Ripubblico un articolo del 2010 che mi pare sempre interessante. 

Ricevo e volentieri pubblico lo scritto dell’amico Paolo Foramitti, storico, conferenziere e autore di numerose opere, relativo a uno dei numerosi sanguinosi episodi di rivolta contro i francesi, quasi sempre con esiti tragici, per i popolani coinvolti, sia per la ferocia francese, sia per l’incapacità dei nostri governanti di assicurare la necessaria protezione ai propri sudditi. 
Come si fosse arrivati a tanto, alla rinuncia totale della difesa, è un discorso lungo e complesso: chi decideva negli ultimi giorni non mostrò certo il polso necessario a quei frangenti drammatici, ma vi erano figure importanti che, se avessero potuto, si sarebbero comportate diversamente, come Francesco Pesaro. Io voglio e debbo notare, come veneto, la fedeltà e l’attaccamento alla bandiera marciana di tutta la nazione veneta di allora, composta come sappiamo, da molti popoli. Compreso il “furlan”. 
Ora, qualche cosa di buono deve aver prodotto, il governo veneziano, nel corso dei secoli, se andando a Perasto, nel lontano Montenegro, ci sentiamo dire ancora oggidì, dal maggiorente del paese capo della marinarezza, da cui provenivano i gonfalonieri della flotta da guerra veneta che in otto su dodici si immolarono a Lepanto, ripeto, ci si sente dire in “illirico”: “Siamo due popoli, ma una sola nazione”. Questo in occasione della rievocazione degli ultimi onori al gonfalone, occorsa tre anni orsono.
Eppure anche loro si sentirono abbandonati dal governo in quei tragici giorni, ma non hanno mai pensato di rinunciare alla loro “venezianità”. Da noi è successo invece qualche cosa di terribile: è stata scientemente occultata e, dove non era possibile, diffamata, l’eredità che i nostri avi ci avevano lasciato; chi ci governò nei due secoli seguenti ha cancellato la storia della nostra nazione e delle altre della penisola, con l’idea di forgiare “l’uomo italico”. Se ci pensate bene, il progetto sembra proprio discendere da qualche direttiva di un direttorio giacobino dei tristi tempi. Negare la storia, far tabula rasa di tutto assommando con l’arbitrio popoli diversissimi forgiati dai millenni, per creare un progetto frutto del furore dell’ideologia. 
Non bastava questo da noi, l’eredità della Serenissima era troppo ingombrante; con l’istituzione delle Regioni (fatto di per sé positivo) ci hanno ancor più divisi, e sono così nati quei micro nazionalismi regionali che sono l’ostacolo più forte ormai al progetto di una riunificazione del nord est d’Italia, da tutto l’universo mondo invece riconosciuto come entità unica nelle sue specificità.
Quindi ai cari “fradei furlani” un caldo invito a rivendicare la loro quota di merito, per aver contribuito non solo alla nazione ma anche alla civiltà veneta, che è opera di tanti talenti diversi d’origine: il Tiziano era cadorino, il Giorgione di Castelfranco, il condottiero Savorgnan era friulano, il Canova di Possagno, il Boccherini era dalmata. Insomma, ci siamo capiti. Tutti noi siamo eredi di quella grande civiltà, che esiste ancora come maniera, comune nel nord est, di vedere il mondo. Ogni volta che al telegiornale inquadrano la Casa Bianca, ricordiamoci TUTTI con orgoglio che quell’elegante edificio non esisterebbe senza il “nostro” Palladio. Riscopriamo la nostra “venezianità” e cerchiamo di riprendere un cammino comune, da “fioi de San Marco”.+
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cedo la parola a: 



Paolo Foramitti
Pasque Furlane 1797

Estratto da: Paolo Foramitti, 1797-1866, Ribelli e soldati in una terra di frontiera, in AA.VV., Da Baniaria a Bagnaria Arsa, Comune di Bagnaria Arsa, 1997.

La Serenissima Repubblica di Venezia aveva costruito la fortezza di Palmanova per difendersi da possibili invasioni dei turchi ma soprattutto per frenare ulteriori mire espansionistiche degli Asburgo sul Friuli, e per controllare da una sicura base militare la regione.
La fortezza sorgeva in uno stretto corridoio tra alcuni dei possedimenti austriaci in Friuli, che ad est comprendevano gli abitati di Visco, Joannis, Aiello, Crauglio, Villesse, Ruda e Cervignano, mentre a ovest vi erano Ontagnano, Fauglis, Porpetto, Gonars e Torre di Zuino, un piccolo nucleo abitato poi divenuto la moderna località industriale di Torviscosa.
In mezzo, i paesi di Bagnaria, Sevegliano, Privano, Campolonghetto, Castions delle Mura, Muscoli, Campolongo, Saciletto, Scodovacca e Perteole erano veneziani.
Questa divisione territoriale subì un improvviso mutamento quando, nel marzo 1797, Napoleone Bonaparte, generale in capo dell'Armée d'Italie, guidò le sue truppe alla conquista del Friuli.
La Repubblica di Venezia era rimasta neutrale nel conflitto tra la repubblica francese e le monarchie europee, ma già nell'estate del 1796 l’esercito degli Asburgo, per recarsi contro i francesi, iniziò ad attraversare i territori della Serenissima.
All'inizio del 1797 le truppe imperiali occuparono il Friuli, accampandosi in numero consistente anche ad Ontagnano, e il 3 marzo si impossessarono di Palmanova, con un colpo di mano al quale la debole guarnigione veneziana, di circa 200 uomini, non fu in grado di reagire. 
Migliaia di austriaci, ungheresi e croati si attestarono in seguito tra Palmanova e il Tagliamento, acquartierandosi nei paesi della zona, ma non riuscirono ad arrestare l'avanzata della truppe di Bonaparte, che il 16 marzo 1797 attraversarono il Tagliamento nel corso di una importante battaglia.
Tra il 18 e il 19 marzo 1797, i francesi avanzarono ulteriormente, e occuparono a loro volta Palmanova, evacuata dagli austriaci, senza alcuna opposizione da parte del presidio veneziano che per breve tempo aveva ripreso il possesso della fortezza.
I francesi causarono gravi danni nei paesi che attraversarono, "fino a Palma e massime nelle Ville limitrofe o confinanti colla detta Fortezza" , compreso l'odierno circondario di Bagnaria Arsa, e i soldati saccheggiarono le case e tagliarono anche alberi da frutto e viti per accendere fuochi per riscaldarsi o cucinare, pretendendo onerose forniture di generi alimentari e mezzi di trasporto, spesso senza alcun pagamento.
Occupata Palmanova, i francesi iniziarono subito a migliorarne le opere di difesa, ed ancora una volta, come ai tempi della costruzione della fortezza, toccò ai contadini dei dintorni il carico lavorativo maggiore, poiché fu richiesta la forzata collaborazione di "molti Villici travagliatori" , ossia lavoranti provenienti dal circondario. 
Le divisioni al comando di Bonaparte proseguirono poi in direzione di Vienna, lasciando pochi reparti in Friuli a guardia delle retrovie dell'esercito.
Il 13 aprile il generale Paul Guillaume, comandante francese di Palmanova, messo in allarme dalle notizie di una possibile avanzata degli austriaci dall'Istria e obbedendo a delle disposizioni che aveva ricevuto in caso di pericolo, fece scacciare la guarnigione veneziana, che fu costretta a deporre le armi e ad uscire dalle mura, senza che venisse opposta resistenza.
Alcuni dei soldati andarono verso il Veneto, ma altri si fermarono nei paesi circostanti, come alcuni veterani che, avendo le proprie famiglie nella fortezza, preferirono non allontanarsi, e solo il Provveditore Generale, Odoardo Collalto, rimase al suo posto come rappresentante dell’autorità veneziana.
In varie zone del Veneto la nobiltà e la popolazione iniziarono intanto ad organizzarsi per reagire ai soprusi commessi dai francesi, preparandosi ad una estesa insurrezione.
In Friuli vi furono invece solo rari casi di diretta reazione alle violenze subite, e l'unica ribellione, per quanto a livello locale, avvenne il 16 aprile 1797, domenica di Pasqua, a Castions delle Mura, dove alcuni soldati francesi vennero assaliti dalla popolazione accorsa alle armi, e il giorno dopo anche a Bagnaria Arsa accadde un simile episodio, dove fu però evitato lo scontro.
In un rapporto inviato al Senato di Venezia, il Luogotenente di Udine, Alvise Mocenigo, la massima autorità veneziana in Friuli, si occupò dell'episodio, e così iniziò a descrivere i fatti: "Domenica 16 (...) due ore circa dopo il mezo giorno alcune donne della villa di Casteons di Smurghin viddero un Pichetto di soldati francesi che s'inoltravano verso quel villaggio. Dette donne in timore di qualche sinistro cominciarono a gridare: sono qui i Francesi" .
L'abitato veniva all'epoca chiamato in modo diverso dall'odierno, e nelle relazioni di quei giorni si legge Castions di Smurghin, Castions di Muris, Casteons di Smurghin e anche Castion di Mori, mentre l'odierna Bagnaria Arsa non era ancora Arsa e appare semplicemente denominata come Baniaria.
L'allarme dato dalle donne fu udito dagli uomini del villaggio, "ch'erano allora incamminati alla chiesa per la funzione dei Vespri" , e immediatamente "passò ognuno a la propria abitazione, e sortì chi armato di schioppo, chi di pistola, chi di forconi, e chi di legno, schierandosi verso la strada per dove passar dovevano li Francesi medesimi, all'oggetto di farli allontanare" ; poco dopo i paesani assalirono i francesi che si stavano avvicinando. 
Vi sono testimonianze che una non meglio specificata autorità avrebbe ordinato ai sudditi di Venezia di reagire contro i soprusi francesi, e questo spiegherebbe la prontezza con la quale gli abitanti di Castions della Mura corsero ad armarsi, convinti che la loro azione avrebbe avuto l'approvazione delle autorità veneziane, alle quali erano fedeli.
Il picchetto francese era composto da sette soldati, che appartenevano alla 6a mezza brigata di fanteria di battaglia: Julien Jaussaut, Antoine Mallet, Etienne Pontremont, Jean Roly e Jean Jacques Avelet, fucilieri, posti agli ordini del caporale Louis Merrin e del sergente Pierre Roussol. Quest’ultimo aveva in tasca un ordine scritto del comandante francese della piazza di Palmanova, generale Guillaume, per effettuare una requisizione di foraggio che doveva servire per l'approvvigionamento della fortezza. 
Le relazioni non concordano su alcuni dettagli dello scontro; quelle veneziane dicono che i soldati, alla vista dell'assembramento, spararono due colpi di fucile: "alla vista di tutta quella gente scaricarono i propri fucili. Bastò questo per intimorire sempre di più i villici, i quali sul momento presero il partito di circondarli, e disarmarli" , mentre quelle francesi affermano che i paesani tirarono per primi numerosi colpi di fucile verso i soldati, che solo allora risposero "con uno o due colpi" , prima di essere sopraffatti.
Il picchetto venne circondato e disarmato dalla folla, "in non molta distanza dalla Chiesa di Corte Vecchia, ossia Corviera" , l'odierna chiesa di Santa Maria Assunta a Castions della Mura, e i soldati, "con percosse di bastone e forconi" , vennero condotti alla presenza del cappellano, don Michele Colautti, al quale il sergente cercò di spiegarsi mostrando l'ordine di requisizione firmato dal generale Guillaume, che il cappellano disse di non comprendere, perché scritto "in idioma francese" .
Sembra che i francesi, feriti, continuamente percossi e terrorizzati, abbiano implorato ai contadini di aver salva la vita, avendo per risposta: "chiedetela al nostro Cappellano" , che a sua volta disse: "che lo domandassero a Dio" .
Probabilmente il cappellano, pur mostrandosi severo verso i francesi, consigliò tuttavia i paesani a non commettere ulteriori e più gravi violenze, che avrebbero provocato inevitabili rappresaglie da parte dei militari.
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.Nella relazione che il sergente Roussol fece sull'episodio, dopo aver dichiarato che ben duecento furono gli assalitori, fu riportato che i francesi vennero rinchiusi in una casa, dove rimasero dalle due del pomeriggio sino alle sette di sera, quando vennero prelevati e condotti sotto scorta armata dai paesani fino ad un piccolo corso d'acqua.

I soldati riferiscono che sembrò loro di vedere delle fosse, e che il capo degli insorti disse loro che erano giunti al luogo della loro tomba, per spaventarli ulteriormente, prima di liberarli.
I veneziani affermarono invece che i francesi furono infine "scortati fino all'estero confine del Torre di Zuino e posti in libertà" .
Torre di Zuino, oggi Torviscosa, era all'epoca in territorio asburgico e pertanto sull'"estero confine", e da lì i francesi giunsero fino a San Giorgio, dove un abitante indicò loro la strada per ritornare a Palmanova, che raggiunsero a mezzanotte.
La relazione medica sulle ferite riportate dai soldati parla per tutti di gravi contusioni e di ferite provocate da colpi di forca, indicando periodi di inabilità al servizio da due settimane a un mese, ma sui vestiti di un soldato vennero anche riscontrati fori causati da colpi di fucile.
Il giorno dopo, 17 aprile, un altro picchetto di francesi, cinque soldati e un caporale agli ordini del sergente Martinet, si presentarono a Bagnaria dal "sindaco" dell'abitato, come essi lo definirono, al quale consegnarono un biglietto con l'ordine di requisire due o tre carri di foraggio.
I soldati videro ben presto radunarsi intorno a loro i paesani con aria minacciosa, e il sergente fece prontamente ritirare il suo picchetto, che riuscì a raggiungere Palmanova senza venire assalito.
Il generale Guillaume, ritenendo l'accaduto un pericoloso esempio di ribellione che altri avrebbero potuto seguire, dichiarò subito al Provveditore Collalto di voler dar fuoco al villaggio colpevole della rivolta.
Il Luogotenente Mocenigo, avvisato dal Provveditore di quanto stava succedendo, accorse subito a Palmanova e riuscì a far desistere il generale francese dal proposito di agire contro dei sudditi veneti, promettendo che avrebbe provveduto ad un'inchiesta e a far punire dalle competenti autorità i colpevoli.
Venne inviato a Castions un commissario veneziano che fece recuperare e riconsegnare le armi sottratte ai francesi, e fece arrestare i quattro paesani ritenuti "dè più colpevoli" , che vennero condotti in carcere nel castello di Udine in attesa di giudizio.
Le armi dei francesi furono ritrovate in possesso di vari abitanti del paese: Francesco Olivo, i fratelli Gio Batta e Giuseppe Piccolo, Domenico Moschetto, Marco Colusso, Francesco Piccolo, Gio Batta Pitica, Gio Batta Gandin e Giuseppe Garroldo, ma non si conoscono i nomi dei quattro che furono arrestati, probabilmente presi tra coloro trovati in possesso delle armi, che non poterono negare la loro partecipazione ai fatti. 
Sembrava che l'incidente fosse stato così appianato, ma il 21 aprile a Mocenigo arrivò una lettera del generale di divisione Baraguey d'Hilliers, in quel momento la più alta autorità militare francese nella zona, che comunicava di considerare l'episodio un insulto, esigendo che entro ventiquattrore fossero consegnati ai francesi "cinquanta dei colpevoli e particolarmente il curato di Castions" per essere "giudicati militarmente" , dichiarando che in caso contrario avrebbe considerato tutto il Friuli e lo stesso Luogotenente come responsabili.
La richiesta del generale francese derivava da un mutamento della situazione generale che esigeva la massima fermezza da parte dei militari: il 17 aprile, lunedì di Pasqua, Verona era insorta contro i francesi; a Venezia il giorno 20 un vascello francese, “Le Liberateur d'Italie", era stato abbordato mentre tentava di entrare nel porto, e catturato dopo l’uccisione del comandante e di alcuni membri dell'equipaggio; a Trieste, con l'appoggio di un contingente di truppa austriaca e dei paesani dei villaggi del Carso, il popolo si era sollevato il 14 aprile cacciando i soldati repubblicani e mantenendo il controllo dalla città per tre giorni, e anche a Gorizia si erano avute notizie di una minacciosa riunione di contadini armati.
Alvise Mocenigo si recò il 22 aprile a Gemona, dove risiedeva il generale Baraguey, per raggiungere un accordo, ma il francese fu irremovibile e insisté perché gli fossero consegnati 50 contadini entro ventiquattrore, dicendo che altrimenti avrebbe guidato di persona le truppe ad arrestarli o a dar fuoco ai villaggi. 
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..Due giorni dopo Lucieta Mocenigo, moglie del Luogotenente Alvise, si recò a sua volta a Gemona "per visitare la moglie del General (…) di cui ella ottenne molto intorno a un affare della Villa di Castions (...) come desiderava Sua Eccellenza Luogotenente" .

Dopo il colloquio tra le due dame, il generale Baraguey d'Hilliers, che notoriamente si lasciava influenzare molto dai pareri della moglie, concesse al Luogotenente il tempo di avvisare il Senato Veneziano delle richieste dei francesi e di attenderne la risposta.
Il Senato rispose prontamente, e con una delibera approvata il 26 aprile diede mandato ad Alvise Mocenigo di procedere "al castigo di tutti, o parte fra li quattro detenuti, … e punizione di tutti gli altri individui, che vi comparissero delinquenti" , al fine di garantire, nell'ordine: "la preservazione assieme dei riguardi nostri (veneziani, n.d.a.), e della dovuta tutella a questi amatissimi sudditi (friulani, n.d.a.)" .
I senatori veneziani furono concordi nel votare, pronti a punire direttamente i loro deboli "amatissimi sudditi", che forse avevano agito pensando di obbedire alla volontà della Serenissima, pur di non "rinunziar affatto al Diritto di sovranità" , diritto al quale avevano tuttavia rinunciato senza reagire quando i più forti eserciti austriaci e francesi si erano installati nel loro territorio.
Prima che la delibera potesse avere effetto, il governo della Serenissima cessò di esistere, per volere di Bonaparte.
Nonostante specifiche ricerche, non si hanno ancora notizie sulla sorte dei quattro Castionesi che furono incarcerati, riguardo ai quali possiamo solo augurarci che nelle confuse giornate seguite alla fine del governo che aveva decretato la loro punizione abbiano potuto lasciare le prigioni di Udine e rientrare nelle loro case.
Si è ipotizzato che i quattro incarcerati fossero stati presi tra i nove castionesi trovati in possesso delle armi, dei quali si conoscono i nomi; anni dopo, Gio Batta e Giuseppe Picolo, Gio Batta Pitico e Gio Batta Gandin risultano essere ancora viventi, resta il dubbio riguardo al destino degli altri . 
I francesi, frattanto, repressero ovunque e con decisione gli insorgenti veneti, che pagarono con un caro ma vano contributo di sangue la loro fedeltà alla Serenissima.
Al momento di scrivere la dichiarazione di guerra alla Repubblica di Venezia, che fu probabilmente compilata in parte anche a Palmanova, anche se fu resa nota solo vari giorni dopo e da Milano, Bonaparte non mancò di citare anche il fatto di Castions delle Mura, del quale era stato indubbiamente avvertito quando passò per la fortezza tra il 30 aprile e il primo maggio.
Bonaparte, per aumentare il peso delle accuse verso i veneziani, elencò le varie aggressioni subite dai francesi, e non mancò di denunciare il fatto con maggiore gravità di quanto fosse accaduto, "Mentre l'Armata Francese è impegnata nelle gole della Stiria (...) ecco la condotta che tiene il governo di Venezia (...) A Castiglione di Mori i nostri soldati sono disarmati, ed assassinati" .
Bonaparte chiamò così Castions delle Mura, unendo Castiglione, paese italiano che ben conosceva per avervi vinto una battaglia, a "di Mori", come appare scritto nelle relazioni francesi dell'epoca.

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