Marghera, dalla nascita alla riconversione [2a parte]




[2a parte]

UN SECOLO DI VITA

Porto Marghera, dai danni ambientali alla possibile riconversione green


Quando ho scritto questo articolo non avevo la presunzione di farlo per la celebrazione delle 100 candeline. Solo per ricordare fatti avvenuti non molto tempo fa e per aiutare la nostra memoria molto spesso labile.

Mi scuso se avessi dimenticato episodi importanti, non mi è stato facile reperire le notizie più significative per metterle in ordine cronologico tralasciando i risvolti politici o sindacali o padronali. Ho cercato di fornire i dati essenziali affinchè ogni lettore possa trarre le sue conclusioni in base alle proprie convinzioni o ideologie. Inoltre quale figlio di un mestrino e di una veneziana doc che hanno lavorato entrambi in quelle aziende che poi avrebbero creato i maggiori danni all'ambiente e alla salute sono rimasto molto turbato nello scoprire quanto i miei avessero cercato di nascondere o per ignoranza o per altri motivi (vergogna?) che mi sono rimasti misteriosi. Però entrambi sono deceduti a causa di un tumore molti anni dopo aver lasciato l'ambiente di Marghera, come diversi loro colleghi di lavoro impegnati sulle linee di produzione (loro erano morti molti anni prima).
Purtroppo sono arrivato ad una triste conclusione: le sorti di Venezia, come il porto di Marghera, rimangono in mano ai veneziani e ai veneti senza possibilità di delega ad alcuno.
Dopo secoli di meticciato etnico e culturale, sarà difficile pretendere il ritorno agli antichi valori quando manca quella fame culturale, sociale ed economica che oltre 1000 anni fa spingeva i veneziani a solcare i mari per affrontare l'incognito ed il diverso. Per il futuro vedo solo l'inevitabile evoluzione come successe 100, 500, 1000, 1500 anni fa.

Citando Wladimiro Dorigo, profondo e scomodo intellettuale veneziano del Novecento, concludo: "Decido di occuparmi della mia città contro gli idioti per cui la laguna è eterna, sempre uguale a se stessa".


1900 - 1916: LO SVILUPPO INDUSTRIALE VENEZIANO
Lo skyline di Venezia e della terraferma rimasero immutati per secoli, poi il tutto venne stravolto nell’arco di qualche decennio con la costruzione di nuove banchine, di nuovi canali e di nuove linee ferroviarie per favorire l’apertura di fabbriche e dal sorgere come funghi dei cantieri edili.
La città della Serenissima non potè sottrarsi alle innovazioni conseguenti all’impiego delle nuove fonti energetiche (elettricità e petrolio) che consentirono l’avvio di nuovi settori produttivi, già presenti nelle grandi città del NordOvest, come l’industria chimica e quella dell’acciaio.

Era diventata agl’inizi del ‘900 un grande centro urbano e industriale (ottavo in Italia con 148.000 residenti) ed aveva bisogno di un porto commerciale di maggiori dimensioni, visto che la Stazione Marittima di Santa Marta, inaugurata solo un ventennio prima (1880), era già insufficiente a sopportare il traffico sempre più crescente delle materie prime destinate alle produzioni dell’Arsenale, del Cotonificio, della Manifattura Tabacchi, delle vetrerie, dell’industria molitoria della Stucky o meccanica della Junghans, solo per citare alcune delle oltre 100 attività esistenti in Venezia.
Questa era il quadro produttivo in laguna, quando il restante territorio veneto era ancora in gran parte agricolo ed arretrato, ad esclusione di alcuni distretti specializzati come lo era ad esempio l'Altovicentino. Già nel '500 era una delle aree manifatturiere più importanti d'Europa per affermarsi poi nel corso dell'800 come un proto-distretto industriale tessile e trasformato successivamente nel corso del '900 in un distretto ad alto contenuto metalmeccanico, tecnologico ed innovativo.
Il progetto-idea del sindaco di allora, Filippo Grimani, era quello di creare il “porto sussidiario” sulle barene dei Bottenighi quale conseguenza nella realizzazione della “Grande Venezia”.
Da tempo la città soffriva per la mancanza di spazi idonei che avessero potuto favorire il suo sviluppo, quindi diventava necessario liberare le storiche aree produttive e portuali spostandole in terraferma per creare un nuova zona industriale affiancata ad un quartiere urbano (a carattere popolare) dove ospitare le maestranze impiegate al porto e nelle industrie, e perché no, anche i veneziani che non potevano permettersi di pagare gli affitti in laguna.
In questa decisione avevano avuto il loro peso politico le scelte strategiche dei comandi militari che avevano individuato in Mestre l’ultimo nodo ferroviario prima del fronte orientale.
Per realizzare il nuovo Porto e Marghera (città), Venezia incorporerà nei successivi vent’anni territori dei comuni di Mestre, Favaro, Zelarino, Chirignago e la frazione di Malcontenta (al di qua del Brenta) nel comune di Mira per realizzare il quartiere urbano di Marghera.
Nel 1909 iniziarono i lavori di scavo del nuovo canale di collegamento tra la Stazione marittima ed il nuovo bacino portuale della terraferma.
La Prima Guerra mondiale, coinvolgendo paesi e popolazioni di mezza Europa, aveva provocato dei drastici cambiamenti socio-economici negli Stati protagonisti del conflitto: lo Stato divenne il motore del sistema industriale, programmando e organizzando la produzione in funzione delle necessità belliche. Ciò aveva provocato anche in Italia un enorme incremento dei profitti per le imprese siderurgiche, meccaniche e metalmeccaniche, con la conseguenza di aver creato dei potentati finanziari in grado di fare investimenti importanti per cambiare le sorti del paese sia sotto il profilo politico che economico e sociale.
In questo scenario, nel pieno svolgimento della Grande Guerra, alcuni gruppi industriali decisero di realizzare un vero e proprio porto con area industriale e non un bacino portuale, com’era stato stabilito ad inizio secolo.

1917 - 1921: CRESCE PORTO MARGHERA
Nel 1917 l’Italia si trovava in una situazione particolarmente drammatica a causa del protrarsi delle operazioni di guerra, dell’offensiva delle truppe austro-tedesche dopo la rotta di Caporetto, del conseguente esodo dei profughi dopo la ritirata sulla linea del Piave e della mancanza di derrate alimentari con cui sfamare gli italiani del Nord Italia e non solo le truppo schierate al fronte.
La realizzazione di Porto Marghera fu possibile grazie alle facilitazioni fiscali dello Stato per l’accesso al credito (e non solo) riservate sia alle imprese che dovevano costruire il nuovo porto sia a quelle che si insediarono successivamente.
L’atto ufficiale di nascita di Porto Marghera può essere considerata la convenzione firmata nell’estate del 1917 (qualche mese prima di Caporetto ed in piena guerra), tra lo Stato, il Comune di Venezia (nella persona del sindaco Francesco Grimani) e la Società Porto Industriale detta anche “Gruppo Veneziano” guidata dal conte Volpi; la convenzione prevedeva la creazione di una zona industriale nella località dei Bottenighi.
Nel 1919, finita la guerra, i primi lavori iniziarono con lo scavo dei canali, l’imbonimento delle barene e la posa di banchine e moli secondo il progetto dell’ingegnere Coen Cagli, relativo alla Ia zona industriale, articolato nella creazione di quattro settori:
  • porto e zona industriale
  • porto commerciale
  • porticciolo dei petroli
  • nuovo quartiere urbano (la futura città di Marghera)
Intanto quella che avrebbe dovuto nascere come IIa area industriale, in attesa di essere poi affidata al Consorzio, venne progettata per comprendere cinque zone:
una prima zona (180 ettari) destinata a grandi industrie anche produttrici di energia elettrica;
una seconda zona (533 ettari) per gli insediamenti delle grandi industrie non produttrici di energia elettrica;
una terza zona (50 ettari), parzialmente sottoposta a vincoli di servitù per sette elettrodotti
ad altissimo voltaggio e tre a medio, viene destinata “all’insediamento di imprese che valorizzino le risorse locali [...] ecc.”;
una quarta zona in località Fusina, destinata dal PRG di Venezia a testa di ponte, è esclusa dalla destinazione industriale;
infine una quinta che sarà destinata “alla formazione di un accesso di uso pubblico” alla darsena terminale del canale.
La Montecatini e l’Edison arriveranno a possedere insieme in queste zone l’84% del totale delle aree destinate ai futuri ampliamenti della zona industriale. Nel dicembre del 1965 i consigli di amministrazione della Montecatini e della Edison, approvando il progetto della loro fusione (dopo che la Montecatini aveva già assorbito la SADE ex elettrica), costituiscono la Montedison, il cuore dell’industria chimica e petrolchimica italiana, quella che sarebbe diventata la piattaforma della futura Montedison.

La costruzione di Porto Marghera porta di conseguenza anche il lento ma inarrestabile declino delle industrie tradizionali del centro storico veneziano, crisi che culminò in maniera drammatica negli anni ’50 con la chiusura di molte attività.
Con la fine della Grande Guerra, poiché cessarono le commesse belliche, le grandi industrie siderurgiche e meccaniche dovettero riconvertire le produzioni determinando una grave crisi economica ed occupazionale.
[fine seconda parte]

Se vuoi leggere la prima parte: https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.it/2018/02/il-secolo-di-marghera-dalla-nascita.html


Prossimamente

[terza parte]
  • LA GRANDE VENEZIA
  • 1922 -1945: dal primo governo fascista alla fine della seconda guerra mondiale
 [quarta parte]
  • Gli ultimi anni della IIa guerra mondiale e la mancanza del cibo
  • Le significative vicende di Ca’ Emiliani (1934 – 1974)

[quinta parte]
  • Curiosità ...
  • 1946-1970 Gli anni ‘70
  • Dagli anni ‘80 al 2000

Commenti