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Visualizzazione dei post da febbraio, 2018

IL DIALETTO TRIESTINO E' VENETOMORFO, XE LENGUA VENETA

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Il dialetto Triestino Storia del dialetto Triestino San Giusto a Trieste Fino da quando la città era ancora rinchiusa tra le mura storiche e non era stata ancora dichiarata Porto Franco (18° secolo) a Trieste si parlava il tergestino, dialetto di tipo ladino, che si relazionava con i dialetti friulani della pianura, dai quali era separato dall'arcaica enclave veneta del dialetto bisiaco e dal gradese. La fondazione della nuova città ebbe come conseguenza l'immigrazione di persone venute dal bacino del Mar Mediterraneo e dall'Impero Austro-Ungarico. Una fetta consistente di popolazione immigrata proveniva dal Friuli, dal Veneto, dall'Istria e dalla Dalmazia. Fu in questo periodo che il tergestino diventò triestino. Il dialetto "veneto comune" (nella variante veneziana, nota in tutto l'Adriatico orientale, Mediterraneo orientale fino a Cipro, che Venezia utilizzava come lingua "franca" ) potrebbe essere stato scelto come tappa linguistic

I VENETI E LA FONDAZIONE DI TRIESTE (TARGESTE)

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Oggi mi voglio divertire a far saltare la mosca al naso😜 a qualche triestino che, forte anche della antica dedizione della sua città all'Austria, in contrapposizione a Venezia, nega assolutamente che i Veneti abbiano avuto parte nella fondazione della città. In realtà miti e leggende antiche a volte collegano Antenore (fondatore di Padova) anche alla fondazione di Trieste, e vi sarebbero le prove nel nome della città che prima dei Carni o degli Istri un manipolo di Veneti abbia formato il primo nucleo abitato.  Ecco quanto ho trovato a supporto della tesi, che ritengo probabile: .. .. "Ma la fondazione del primo nucleo della romana Tergeste potrebbe anche risalire ai Veneti o Paleoveneti, come testimoniato dalle radici del nome “Terg” ed “Este”. ” Se Trieste non fu già castelliere «protovèneto», si dovrebbe considerare di fondazione veneta. L’argomento più probante sarebbe nel suo stesso nome di Tergeste, che è il più antico. Vale a dire nel suffisso -este, che si t

ALESSANDRO MARZO MAGNO E LE VOTAZIONI A VENEZIA

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ALESSANDRO MARZO MAGNO gioca a fare il Daru? Alessandro Marzo Magno lo conosciamo ormai abbastanza per non meravigliarci dell'articolo scritto su Avvenire, che vi invito comunque a leggere, per avere un'idea del meccanismo di voto nel Maggior Consiglio. Il messaggio che passa, già dal titolo, è che "tutto il mondo è paese", e pure le istituzioni veneziane erano marce, come quelle italiane, dato che usava il voto di scambio, proprio come nell'Italietta di oggi. Quindi, cari Veneti, di che vi lagnate? siete, siamo uguali al resto del Bel Paese. Fratelli d'Italia, fratelli nell'intrallazzo. . Persino il grande Doge Loredan vincitore contro la Lega di Cambrai, non sfuggì alla censura della commissione, che, da morto, fu multato nel patrimonio per un presunto favoritismo in un atto pubblico. .. Eh, il nostro tricolorito storico.... dovrebbe perlomeno avere qualche titubanza a paragonare la moralità delle istituzioni veneziane alla repubblichet

NULLA SI SAPEVA DELLA CIVILTA' VENETICA, FINO A QUANDO...

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la necropoli venetica di Mel, Bl che vi consiglio di visitare Dell'origne dei Veneti, della storia del loro inizio non si sapeva nulla tranne le leggende mitologiche sull'origine comune di Roma e dei nostri antenati, fino a quando nel 1876 nello scavo per dei lavori agricoli , dei contadini non si imbatterono in due tombe con un ricco corredo. E così, pian piano, il sipario si sollevò di nuovo su un passato che pareva ormai destinato all'oblio. Di Riccardo Venturi  NEL 1876 emersero quindi due tombe di defunti cremati, dotate di un ricchissimo corredo di vasi fittili e bronzei (due in particolare, decorati con animali fantastici e figure umane). L'allora Conservatore del locale piccolo Museo Estense, Alessandro Prosdocimi, diede il via a una serie di campagne di scavo  che in pochi anni portarono alla luce centinaia  di sepolture.  I ricchissimi materiali rinvenuti costituiscono a tutt'oggi la maggior parte del patrimonio archeologico della protostori

Quando se andava a dormir coea munega

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Quando si andava a letto con il prete o con la munega . Quando non c'era il riscalmanento centralizzato, ecco c ome i nostri nonni scaldavano il letto prima di andare a dormire Io sono cresciuto, come quasi tutti quelli della mia generazione, in una casa in cui l'impianto di riscaldamento consisteva in una stufa di terracotta a tre ripiani, ricordo che era una Becchi, ed era posizionata nel corridoio tra la zona notte e la zona giorno. Solo i signorotti si potevano permettere la stufa in camera da letto ma per operai e contadini era già un lusso avere la cucina economica al posto del camino in pianura o del larin in zone montane. In cucina si faceva da mangiare con la cucina economica che contribuiva a scaldare quella porzione di casa dove in pratica si viveva. Entrambe andavano a legna e per il loro funzionamento c'era un rituale quotidiano che doveva essere rispettato da chi era di turno .  La gestione del fuoco era "una materia" che si imparava da p

DAL DIVIETO DI PARLAR SLAVO ALLO SCALPELLO SUI LEONI

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Il Leone di Traù prima della distruzione GLI INGIUSTI SIANO PUNITI E IL SEME DEGLI EMPI PERIRA! (1) Ruggiva l'elegante Leone di Traù, fino a quando nel 1936 una squadraccia di nazionalisti slavi non lo prese a martellate, di notte, infliggendo una ferita terribile alla Storia condivisa con noi "veneziani" nei secoli passati. Ma come si era arrivati a questo? Dapprima, nell'Ottocento, fu l'Austria stessa a soffiare sul fuoco del nazionalismo slavo, in modo da scoraggiare qualsiasi idea di rivalsa unitaria e di indipendenza tra la popolazione venetofona (seguendo il vecchio motto divide et impera) , ora vista non più come "veneziana" ma "italiana", quindi antagonista degli slavi, iniziando in pratica a incoraggiarne l'esodo. Ma la rovina totale fu la politica dell'Italia unita che autonominandosi "erede" della Venezia ormai sepolta, ne tradiva invece lo spirito e la tradizione multiculturale, del tutto opposta ai naziona

SEBASTIANO VENIER, IL GRANDE DOGE SENZA MONUMENTO

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di Alberto Toso Fei, sul GAZZETTINO Il meraviglioso ritratto del Tintoretto Prima di divenire il protagonista di una delle battaglie navali più celebri della storia e di ottenere il dogado (l'11 giugno 1577, con l'unanimità dei quarantuno voti a disposizione), Sebastiano Venier non aveva servito granché nella flotta della Repubblica, ma era stato anzi un buon giurista, un “Avogador” di valore. Fu duca di Candia, capitano a Brescia, podestà di Verona, Procuratore di San Marco e, infine, Capitano Generale da Mar, il 13 dicembre 1570. Aveva, all'epoca, 74 anni. L'anno successivo stazionava sul ponte di comando della “Capitana”, la sua ammiraglia, che sulle acque di Lepanto – assieme alle altre navi della Lega Santa – combatté nella celebre battaglia che il 7 ottobre 1571 mutò per sempre gli equilibri nelle acque del Mediterraneo, facendo perdere alla flotta Ottomana la fama di invincibilità della quale fino a quel momento aveva goduto. . casa Venier con la la

LA VERA LINGUA DEL PROCLAMA DI PERASTO

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Già ce ne siamo occupati, ma abbiamo trovato un sito istriano in lingua italiana che ne parla in maniera dettagliata, spiegando che fu pronunziato in croato. Io non sono esperto, mi han detto tempo fa che in zona parlano un dialetto affine al serbo, ma non importa, importa il fatto che in lingua veneta (veneziana) fu poi tradotto, come anche in italiano, in modo da dare una maggiore risonanza (essendo queste, ancora all'epoca, due lingue internazionali, con buona pace di chi ci spiega oggi che parliamo "un dialetto") a quel fatto straordinario.  fonte:  ISTRIA LA VERITA' IL DISCORSO DI PERASTO La lingua utilizzata da Viscovich Il 23 agosto del 1797, i cittadini di Perasto (oggi in Montenegro, è stato l'ultimo territorio fedele alla Serenissima) si radunarono per seppellire il gonfalone della Serenissima sotto l'altar maggiore della loro chiesa parrocchiale. Davanti ad una folla inginocchiata, il Capitano di Perasto Giuseppe Viscovich tenne un disco

Marghera o dove el mar gh'era

LE RADICI DEL NOME Ci sono almeno 3 ipotesi sull’origine del nome di Marghera.  La maggior parte del territorio sul quale è sorta la città di Marghera è sempre appartenuto al territorio di Chirignago, antico insediamento fin dai tempi dell’impero romano.  Con il toponimo "Marghera" veniva indicata alla fine del XVIII°sec. una piccola borgata, nell’attuale località San Giuliano di Mestre in riva al Canal Salso , composta da una chiesa con attorno alcune case e  costruzioni ad uso deposito ed aveva la funzione di luogo di sosta doganale per le merci dirette da e per Venezia o che dovevano risalire lungo il Canal Salso per giungere a Mestre. Nel 1805 gli asburgici rasero al suolo il villaggio per costruire un grande complesso difensivo a cui diedero il nome di Forte Marghera, ancora oggi esistente. MAR GH’ERA: Nascerebbe dal veneziano mar gh’era “mare c’era”, per indicare quella zona un tempo paludosa. Indicava pure un piccolo borgo situato presso San Giuliano, , in

LALLICH RISCOPRE GLI SCHIAVONI CHE NON SI ARRENDONO

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IL BACIO DELLA BANDIERA DI SAN MARCO Del fatto della bandiera di San Marco scrisse anche con un certo rispetto il garibaldino Ippolito Nievo, che riconobbe il valore etico morale del "seppellimento" del vessillo, nonostante fosse convinto che in fondo la Repubblica veneziana in piena fase di decadenza avesse meritato la sua fine, sia sul piano politico che morale.  Colui che impresse con forma e colori in modo indelebile la memoria visiva di quegli eventi, trasfigurandola, fu un pittore di origine dalmata, nato a Spalato, molti anni dopo quegli eventi nel 1867 (morì a Roma nel 1953) che intitolò un celebre dipinto  "Ti con nu nu con Ti" soprannominato poi "il bacio della bandiera di San Marco", attualmente a Roma nella sede dell'Associazione nazionale dalmata. Questo artista aveva frequentato l'Accademia di Venezia diretta allora da Pompeo Marino Molmenti, scoprendo proprio attraverso lo studioso già citato, il fascino e il mito della

LE MADONNE CHE PIANGONO DAVANTI A NAPOLEONE, IL SILENZIO DELLA CHIESA

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Oggi qualcuno ne sorriderà, magari qualche esponente della chiesa ormai mondialista e orbitante nell'area radical chic non lo ricorda proprio, ma montagne di carte con testimonianze sia di fedeli che di persone scettiche del tempo riportano fatti straordinari legati a statue o dipinti della Madonna che lacrimavano e muovevano gli occhi davanti a testimoni ( persino davanti a Napoleone) nei territori dello stato pontificio che stava per essere  travolto dall'orda napoleonica, di lì a poco. Un  libro di Rino Camilleri  riporta questi eventi. Il 1796 è un anno tragico per l’Italia: le armate napoleoniche hanno invaso tutto il Nord della penisola e stanno minacciando gli Stati del Papa. Con una serie di fulminee vittorie il ventisettenne Bonaparte ha sbaragliato i Piemontesi e gli Austriaci, occupando tutto l’occupabile. I saccheggi, le ruberie, le repressioni sanguinose si susseguono a ritmo impressionante. In Francia il giacobinismo ha eseguito una vera e propria matt

LA STRAORDINARIA RIFORMA DELLA SCUOLA DELLO STATO VENETO

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L'ho definita straordinaria perché ha dei tratti di modernità che la fanno somigliare alla scuola  dei tempi odierni.  Se pensiamo che prima della riforma A Venezia e in tutti gli stati veneti la scuola era per gran parte affidata a privati, e, se pubblica, era in mano a religiosi.  Eccovene i trati essenziali, più avanti parleremo della riforma dell'Università. Come leggerete, si parla di scuole veneziane ma è probabile che tale riforma pian piano sarebbe stata estesa anche alla Terraferma, autonomie locali permettendo. Ma cose sappiamo, arrivò Napoleone, che invase  una Nazione neutrale, e fece mercimonio della nostra libertà con l'Austria.  Penso ai libri di testo allora gratuiti.. e mi sembra di sognare... La storia della scuola e dell'università nella Venezia del Settecento è una storia di riforme, come hanno illustrato in anni recenti gli studi di Gullino e Del Negro  "Intellettuale impegnato tra conservazione e moderno", così viene definito

ANGELO QUERINI E LE RIFORME MANCATE DELLA REPUBBLICA

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Una delle figure illustri del Settecento veneto fu certamente Angelo Querini, di casato veneziano nobile e antico, che cercava assieme al gruppo dei "novatori" di cambiare le istituzioni del governo in senso moderno e aperto finalmente alle forze della nobiltà e della borghesia dell'Entroterra. Era logico che egli fosse un seguace delle nuove idee che circolavano in Europa ma ben presto il partito dei conservatori lo bloccò e fu persino arrestato. Prendo qualche riga dall'enciclopedia Treccani,per descrivere la sua vicenda. Venezia era irriformabile e la sua fine, alla prima tempesta forte, sarà inevitabile.  .. Inquietudini e velleità di riforma a Venezia nel 1761-62 e Un riformatore mancato: Angelo Querini, i titoli di questi due saggi scritti da Bozzola e Brunelli Bonetti esprimono con grande efficacia i caratteri salienti (desiderio o velleità di riforma, impotenza e fallimento della riforma) della correzione di Angelo Querini nel 1761-1762 (77). Verso