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Visualizzazione dei post da 2018

NAPOLEONE E L'ULTIMO SCHIAFFO AI VENETI

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Caro Dott. Agnoli, (scrive lo storico Edoardo Rubini rivolgendosi a Francesco Agnoli)  la mia inquieta vita intellettuale mi porta sempre su e giù attraverso la storia, partendo dall’Età del Bronzo, fino ad arrivare a quel che è accaduto un paio di ore fa. Tra i vari lavori ai quali mi son dedicato con passione, c’è da ultimo un Almanacco di storia veneta che mi ha costretto a fare dei focus inediti su aspetti della storia che mi erano passati avanti veloci senza potermi soffermare. Uno degli episodi che ho voluto rivedere è quanto accaduto il 17 ottobre 1797. Quando, una decina d’anni fa ho lavorato sul DVD sull’invasione napoleonica dello Stato Veneto, enorme giovamento avevo tratto dal suo magnifico libro “Napoleone e la fine di Venezia”, che segnalo agli amici : http://www.ilcerchio.it/napoleone-e-la-fine-di-venezia.html Oltre all’infinità di notizie utili e ben documentate, Le confesso che la cosa che più mi aveva colpito è stato scoprire l’incredibile fal

AUTONOMIA DIFFERITA O CANCELLATA TOMASUTTI SU IL GAZZETTINO

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AUTONOMIA DIFFERITA O CANCELLATA Il caso dell'autonomia veneta "ritardata", e probabilmente annacquata, documentta, in maniera esemplare, un lungo processo di rappresentazione politica della Regione, avvenuto, prevalentemente solo attraverso un processo politico elitario, e non . come ad esempio e con altre prospettive - il caso catalano insegna -, anche attraverso un percoso culturale e sociale, condiviso e di massa. Ne sono esempi parigmatici, in questo senso, le vicende della Lega e delle varie formazioni locali indipendentiste. Tutti attori politici, che hanno contribuito a rafforzare, differentemente, la rappresentazione pubblica di un Veneto localista, anticentralista ed antistatalista.  Il guaio tuttavia, è che una rappresentazione istituzionale delle istanze popolari veicolata solo per  via prevalentemente politica, si connota "naturaliter" solo come un percorso che si realizza in termini elitari. In termini, cioé in cui la verticalità impedisce

I SUDDITI DISPOSTI AL SACRIFICIO DELLA VITA PER SALVARE VENEZIA, nel 1796

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Porta veneziana di Bergamo alta 7 luglio 1796 – appello dei Bergamaschi alla Veneta Serenissima Repubblica: le Vallate offrono diecimila per la difesa armata della Veneta Patria contro l’invasione francese   Ass.ne Europa Veneta Il documento di cui sotto è uno degli estremi tributi che le genti della Serenissima dedicarono al loro amatissimo Principe, n.h. Lodovigo Manin: tutti i messaggi che a lui pervengono dai Dominii, dalla Lombardia Veneta all’Istria, alla Dalmazia, hanno il medesimo tenore.  La gente è disposta a sacrificare la vita purché la Repubblica si salvi.  Il tono usato dai sudditi, come allora si chiamavano, non è quello di cittadini che si rivolgono ad un organo politico, ma quello di figli che si rivolgono ai genitori, reso ancor più struggente in quanto presaghi della crudele fine che incombe. stemma di Oltressenda in val Seriana   Lettera inviata il 7 luglio 1796 dal Podestà di Bergamo n.h. Alessandro Ottolini al Serenissimo Doge e all’Eccellentiss

IDENTITA' VENETA O VENEZIANA? VENEZIA E LE SUE RADICI

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Questo bel Lion è padovano, copia di quello distrutto dai giacobini nel 1797. Mi veniva in mente ieri, una mia vecchia conoscenza veneziana, la quale sosteneva che i Veneti non esistono. Esisteva solo Venezia, caso mai, che meritava l'indipendenza (dai campagnoli, immagino). Ma se c'è una città "contaminata" dall'apporto di altri mondi è proprio la nostra vecchia capitale, lo si nota dai cognomi degli ultimi veneziani, che riflettono origini quanto mai diverse. Eppure Venezia rimase se stessa, aperta al mondo, ma senza dimenticare la propria identità originale, la propria cultura originaria, che, purtroppo per l'amico, era pur sempre veneta. E i governanti oltre a definire la repubblica come "Repubblica di Venezia" parlarono sempre di stato veneto, collegandosi idealmente ai fuggiaschi di Terraferma, a quei "campagnoli" che crearono quel sogno sospeso tra mare e cielo e che ormai è immortale.  Ma con questa "contaminazione&qu

GIOTTO, GLI SCROVEGNI, E I RIBALTAMENTO DEI LUOGHI COMUNI.

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L'aria natalizia mi ha portato a questa ricerca mattutina, diventata  a un certo punto frenetica e divertente, dato che mi ribaltava ogni certezza sul perché della nascita di uno dei capolavori mondiali della pittura occidentale e su come Giotto fosse arrivato alla nuova espressività nei volti e nelle posture dei protagonisti del ciclo degli affreschi... Ma andiamo per ordine.  La cappella nasce agli inizi del Trecento, su commissione di Enrico Scrovegni, cittadino di Padova e... di Venezia, uomo ricchissimo, che commissionò il lavoro a Giotto, il quale però NON COMPARE mai nei documenti d'epoca. Perché? Perché il concetto di "artista" nasce solo più tardi, nel Rinascimento, prima erano considerati solo bravi artigiani, più o meno intercambiabili.  L'idea comune è che Enrico, offrendo la sua cappella alla Madonna, volesse mondare i peccati del padre usuraio banchiere. L'usura era considerata peccato, poiché si faceva pagare il tempo (il peri

LA DONNA VENETA E LO SCIALLE, UNA CONTINUITA' DI MILLENNI

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L’ABBIGLIAMENTO DELLE DONNE VENETE ANTICHE (E MENO ANTICHE). Grazie alle famose “situle”, vasi cerimoniali destinati alla sepoltura del defunto, e ad altre raffigurazioni su lamine in bronzo, abbiamo oggi un’idea abbastanza precisa su come si vestivano le nostre donne, almeno quelle impegnate in cerimonie pubbliche. Altre immagini, come nella figura 1, raffiguravano la nostra famosa Dea Reithia. Questa dea era il riflesso di un’antica società matriarcale, ove la donna, assicurando la riproduzione della stirpe, aveva una posizione di primo piano nella società. Tale posizione, fa notare Edoardo Rubini nel suo “Giustizia veneta”, si è mantenuta anche nello stato veneto attraverso delle norme che ne garantivano, all’epoca della Repubblica di San Marco, una autonomia patrimoniale inconsueta, nel contratto matrimoniale. Era anche questo uno dei punti che ci distingueva anticamente dai Celti, tra la cui società patriarcale, la donna non godeva della stessa libertà.

ERANO CRIMINALI E SAPEVANO DI ESSERLO

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ERANO CRIMINALI E SAPEVANO DI ESSERLO   ========================== ============ ISTRUZIONE DEL DIRETTORIO ESECUTIVO AL CITTADINO SCHERRER (General in capo dell'Armata d'Italia) ...La Francia non ha bisogno di braccia forastiere per soggiogare ii suoi nemici, ma ha ella bisogno delle ricchezze dei popoli vinti.I figli della gran Nazione non devono occuparsi che di fare la guerra e di comandare, tocc a alle Nazioni conquistate l'obbedire. Il Direttorio esecutivo ha giudicato necessario sin ora di tener nascosto il vastissimo oggetto che s'era proposto, e di abbagliare le teste italiane (ndr come quella di Ugo Foscolo) col fantasma della Sovranità e della indipendenza nazionale: quest'idea seducente, secondata da persone ambiziose ed avide di questo paese, ebbe tutta quella riuscita che conveniva ai nostri interessi; sedici millioni d' uomini furono sottomessi da un numero di combattenti che si poteva chiamare corpi volanti piuttosto che armate. Li monumenti del

LA RESISTENZA DEI FRIULANI A NAPOLEONE

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Marco D'Aviano La campagna di Napoleone in Italia, prima vittima lo stato veneto  Anche il Friuli, come la Lombardia Veneta e tutti i Veneti Domini è stato messo a ferro e fuoco dalla Armée d'Italie del giovane generale Napoleone Buonaparte (sì, essendo corso aveva questo cognome, che poi francesizzò in Bonaparte). Anche la Carnia fu invasa e sottomessa con la massima brutalità e anche lì le comunità insorsero a difesa della Repubblica, ma anche per difendere se stesse.  Lo dimostra questa episodio: il 16 aprile 1797 a Castions delle Mura, una pattuglia francese mandata lì dal Comando di Palmanova a requisire fieno per cavalli trascina via delle ragazze del posto; i giovani del Paese accorrono per liberarle armati di roncole e forche, con cui fanno a pezzi alcuni aggressori, mentre altri sono percossi e imprigionati a Bagnaria. L'accaduto non passa inosservato allo stesso Napoleone, tanto che il generale Guillaume, di stanza a Palmanova, è sul punto di dare a

IL DOGE CRISTOFORO MORO, UOMO E STATISTA ESEMPLARE

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9 novembre 1471: muore a Venezia il Doge Cristoforo Moro a 72 anni; per cogliere la straordinarietà della sua persona basterebbe la frase che fa incidere sul recto delle monete del suo Dogado: “Religionis et Iusticiae Cultor”. Dicono che era così devoto a Dio da rifiutare le grazie di una monaca che era fuggita dal convento per lui: eppure si dimostra gran doti da statista. Nel novembre 1463 presenta la proposta al Maggior Consiglio di dar appoggio alla Crociata indetta da Pio II per liberare la Terra Santa e il parlamento veneto lo designa a capo della spedizione, sicché il 12 agosto 1464 la sua flotta di 12 galere si unisce ad Ancona alle otto inviate dal Papa, ma tre giorni dopo il Pontefice muore e la spedizione va a monte. Sotto il suo Dogado va in disuso il termine “Commune Veneciarum” per indicare la Repubblica e si addotta quello di “Signoria”. Lascia tutti i suoi averi ai poveri e agli istituti religiosi, il suo corpo è deposto nella chiesa di San Giobbe scalzo e vesti

COMBATTO CON I FANTI, NON CONTRO I SANTI! E BRESCIA FU SALVA

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Europa Veneta 1438: dopo la ritirata di Gattamelata verso il lago di Garda, il condottiero visconteo Nicolò Piccinino con ventimila soldati mette l’assedio a Brescia, difesa dal comandante Francesco Barbano, il Rettore Cristoforo Donà ed il Governatore delle armi Taddeo d’Este; dopo 8 giorni mette in azione 80 bombarde che lanciano anche macigni di pietra del peso di trecento libbre; si aprono larghe brecce nelle mura che gli sterratori i si affannano a colmare con fascine e pietrame; Piccinino ordina la costruzione di macchine da guerra, svuota dell’acqua il fossato di Canton Mombello e fa scavare trincee per avvicinare i soldati alle mura. Il 13 dicembre nell’assalto finale, secondo la tradizione, appaiono sulle mura i Santi Patroni della città con armi dorate: brandiscono uno scudo celeste ed una spada di fuoco poi, deposte le armi, a mani nude ribattono le palle roventi fulminate dei cannoni nemici. Si racconta che all’apparire dei Santi, Piccinino fa sospendere l’attacco, dop

L'EPOPEA DI SIGNA, PER LA LIBERTA' DALMATA E PER SAN MARCO

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LA FORTEZZA DI SIGNA, 1715, di Danilovich - Nardo Può un fumetto diventare un racconto epico, che riesce a commuovere,  a distanza di tre secoli, chi ha a cuore l'eredità veneta? Direi proprio di, si dopo aver preso in mano l'ultimo lavoro di Danilo Morello, posso affermarlo. Ma bisogna anche precisare il fatto che metà del volume è un avvincente libro di storia, che illustra il momento storico drammatico per Venezia, e l'assedio della fortezza di Signa (Sinj nell'attuale Croazia) è collegato alla seconda guerra di Morea, dove i Veneti, lasciati soli, dovettero alla fine soccombere alla enorme potenza ottomana. Ma certamente non mancò il coraggio e per quanto riguarda gli abitanti di Signa, la vittoria finale. Fatti che meriterebbero l'attenzione del mondo oltre che dei Veneti, e la regia di un novello Mel Gibson, che con il suo Bravehearh ha avuto tanto successo.  Pensate solo che un pugno di assediati, capitanati dal Provveditor Baldi, dal Maresciallo

MARCO E IL LEONE NEL DESERTO.

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Un mio amico, a proposito di una raffigurazione molto antica di san Marco con un leone accanto, (prima che a Venezia iniziassero  a rappresentarlo sotto le forme che conosciamo attualmente) ipotizzava il riferimento a un simbolo antichissimo dei paleo veneti. Faceva notare che un leone era raffigurato in una stele paleoveneta, nel museo di Este. E che il leone era i simbolo dei Veneti antichi. Devo dire che non ho memoria di questa cosa, nelle mie ricerche non ho mai trovato un accenno ai Veneti antichi raffigurati sotto il simbolo del leone. E se anche qualche relazione c'era stata, col passare dei millenni, i Veneti lagunari non ne avevano certamente più memoria. Diversamente invece è stato per il copricapo del Doge,  che deriva dal cappello floscio a punta, indossato dai notabili venetici lagunari, raffigurati nel mosaico più antico conservato all'ingresso della basilica, idi cui ho parlato nella nota precedente. Evidentemente tali copricapi erano collegati alla

GLI INGIUSTI SIANO PUNITI E IL SEME DEGLI EMPI PERIRA'

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 origine e significato del motto del Leone di Traù. Quia Dominus amat iudicium et non derelinquet Sanctos suos in aeternum conservabuntur INIUSTI PUNIENTUR ET SEMEN IMPIORUM PERIBIT Salmo 36:28 Edoardo Rubini sul Lion de Traù La frase è un versetto dei Salmi e contiene una terribile profezia, che la Serenissima aveva voluto esibire pubblicamente e farne persino il metro della propria attività giudiziaria. Guardiamo l’originaria formulazione biblica: " ...quia Dominus amat iudicium et non derelinquet sanctos suos in aeternum conservabuntur iniusti punientur et semen impiorum peribit. " “Perché il Signore ama la giustizia e non abbandona i suoi servi, che sempre da lui saranno salvati” gli ingiusti siano puniti, il seme degli Empi perirà. " Nessun dubbio sul fatto che la Giustizia sia vista nel suo carattere divino e che oggetto della punizione saranno sia chi opera contro la giustizia, sia chi non è pius , cioè chi nega la Fede, due categorie umane che

AFFINCHE' DIFENDA PER SEMPRE I VENETI DAI LORO NEMICI

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Giampaolo Malpaga L'unico mosaico originale del XIII sec ancora visibile nella facciata della basilica di San Marco (lato sin. portale di Sant'Alipio).Gli altri mosaici della facciata sono stati rifatti o restaurati nel XVII e XVIII secolo. Questo antico mosaico che vuole celebrare la traslazione della reliquia di San Marco dal Palazzo Ducale alla Basilica di San Marco , rappresenta il solenne giuramento del Doge Lorenzo Tiepolo in occasione del suo insediamento nell'anno 1268! Il Tiepolo sulla destra, con corno ducale, tiene in mano il rotolo del giuramento appena pronunciato, tenuto legato da un filo! Si intravede l'orgoglio dei veneziani per la loro Repubblica. Sulla sinistra con una corona in testa la Dogaressa Marchesina da Brienne, assieme al figlio.   Interessantissimo il particolare nella parte superiore della lunetta che raffigura i famosi cavalli di San Marco; ciò certifica che a meta' del 1200 la ricostruzione della Basilic

LA GUERRA DI CORFU' 1714-18 riassunta da Gualtiero Scapini Flangini

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Enormi risorse in termini economici, ma sopratutto di vite, furono impiegati dalla veneta Repubblica, per contenere le ultime spallate del Turco. Venezia si dissanguò, è vero, ma il turco rinunciò ad ogni progetto di espansione in Europa. Una pagina di storia che nessuno spiega ai giovani veneti ... ma per fortuna essitono personaggi dello stampo di Gualtiero Scapini Flangini e pochi altri.  Dan Morel Danilovich , con i suoi libri fumetto, è un altro esempio  https://www.facebook.com/La-Fortezza-Signa- Gualtiero Scapini Flangini Malvasia, la Gibilterra  dell'Egeo LA GUERRA DI CORFU' 1714-1718 Alla perdita di Nauplia, del Castello di Morea e di Modone seguì la caduta di Malvasia, rocca fortissima, che ben difficilmente i Turchi avrebbero potuto conquistare. La fortezza di Malvasia era costruita in cima ad una ripida roccia dolomitica, collegata alla terra solo da uno stretto ponte levatoio, ed era praticamente impossibile da conquistare, se non a prezzo di perdite ele

LA MEDICINA DELLA SERENISSIMA, SEMPRE UN PASSO AVANTI

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Ma pensate che avevano inventato persino la cassetta del Pronto Soccorso per chi veniva tirato su da un canale, a rischio di annegamento. Straordinari i Veneti, a lasciarci fare...  Di Antonella Todesco La più importante attività scientifica che si coltivasse a Venezia era la medicina. Veniva tutelata dagli organi competenti con grande cura. Preoccupazione di tali organi era quella di separare nettamente le attività scientifiche vere e proprie da quelle dei vari ciarlatani che anche nel XVI erano abbastanza tollerati dal Governo. La maggior parte di questi maghi veniva dall' Oriente e il Molmenti parla di un Marco Bragadin, cipriota, che fu persino ospitato in casa Dandolo e che si diceva fosse capace di tramutare l argento in oro. Potevano esercitare la professione solo i medici laureati a Padova o al Collegio di Filosofia e Medicina di Venezia. L anatomia e il sezionamento dei cadaveri erano già praticati dal XIV secolo e nel 1671 fu aperto il Teatro Anatomico in Ca

PERCHE' NON POSSIAMO NON DIRCI "VENEZIANI"

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... E DOBBIAMO COLLEGARCI ALLA STORIA DELLA CAPITALE DEI VENETI. Ieri ho letto una grande corbelleria (volevo usare un altro termine ma resto nel soft) da parte di un signore, il quale affermava in maniera decisa che il Doge regnava sul nulla, dato che i veneti (e quindi a maggior ragione, tutto il commonwealth veneto, pardon, veneziano) non avevano alcuna voce in capitolo sul modo di reggere lo stato, essendo diretti come "res nullius", cose insignificanti, dagli aristocratici della capitale. Curiosa teoria, che ignora del tutto il sentimento di appartenenza alla Nazione veneta diffuso tra le masse già solo dopo pochi decenni dall'aggregazione, che registrò persino un personaggio del calibro di Macchiavelli, il quale annotò stupito (inviato come osservatore durante la guerra di Cambrai dai fiorentini) le rivolte armate contro le truppe di Massimiliano II e la scena di un rivoltoso impiccato a Verona. Salendo sul patibolo davanti agli alleati dell'imperat

IL LEONE E I GONFALONIERI DI PERASTO

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GONFALONIER DI PERASTO Sulle monete della Dalmazia e dell’Albania il leone sostiene un ramo d’ulivo.  Sulle monete coniate durante la guerra del Peloponneso il leone sostiene a volte una croce, a volte una palma. Nei drappi e vessilli navali veneziani il leone impugnava una croce semplice chiamata anche “Croce del Calvario”, valga per tutti il vessillo di San Marco custodito dalla fedeltà e difeso dal valore dei Perastini.  . .A Perasto era stato concesso il titolo e l’onere di Fedelissima Gonfaloniera della Veneta Repubblica.  Dodici gonfalonieri, di volta in volta eletti dal Consiglio degli Anziani della Comunità Perastina, erano i responsabili delle bandiere di guerra dell’armata oltremarina di terra e di tutta l’armata navale. Questi vessilli erano custoditi nella sede del capitano di Perasto, che era un nobile locale e, in battaglia, erano strenuamente difesi dai dodici gonfalonieri sulla nave ammiraglia del Capitano Generale da Mar. FILIPPI EDITORE

CHI ERANO I VENETI? Di Riccardo Venturi

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<I Veneti e la lingua venetica> l’ethnicum dei Veneti (Enetoi, Uenetoi, Veneti) è presente nella tradizione allo scopo di individuare popolazioni stanziate in svariate aree del mondo antico, dall’Asia Minore (i Veneti “troiani”), alla penisola balcanica (gli Eneti illirici), dall’Europa settentrionale e centrale (Veneti, Venedi, venedae), distinti dai Sarmati, Veneti in Bretagna), alla regione laziale (i Venetulani del Lazio sono ricordati da Plinio come uno dei popoli laziali scomparsi a suo tempo). Come è possibile osservare tale ethnicum è presente in aree diverse e lontane le une dalle altre; e la cosa ha una sua precisa ragione di essere. La questione dell’amplissima diffusione del termine “Veneti” è stata affrontata dagli studiosi solo su base linguistica, mancando l’apporto della documentazione storico-archeologica: Giacomo Devoto osservava, ad esempio, che l’etnico <wenet> non può identificarsi che con la base dei conquistatori, organizzatori, realizzatori e