L'INSOSTENIBILE REPUBBLICA, UNA E INDIVISIBILE.

Don Floriano Pellegrini è stato  testimonial Plebiscito2013.eu, il movimento che ha organizzato il referendum digitale che ha fatto tanto discutere e ha riscosso notevole successo.  Don Floriano, in qualità di testimonial, aveva inviato a Plebiscito2013.eu questa  breve presentazione  che riportiamo di seguito e che la dice tutta sul suo spirito

Don Floriano Pellegrini

Ho 57 anni, appartengo a una famiglia antica, sono felice di essere sacerdote e di stare con la gente, pur con i miei limiti, in campo spirituale e in quello culturale, ma non solo.

Per me Venezia è sempre stata un punto di riferimento. Mio, della mia famiglia, della mia valle e di tutto il Popolo veneto. Quante emozioni, sofferenze, speranze, dietro queste parole! Non vedo perché non possiamo continuare ad essere Popolo in tutto e per tutto, indipendente e sovrano, profondamente capace e desideroso di collaborare con gli altri Popoli della penisola italiana e del continente europeo, ma Popolo! Mi auguro, perciò, non sia lontano il giorno in cui questi auspici saranno realtà.

Don Floriano Pellegrini pubblica abitualmente delle sue riflessioni sotto l’insegna de “IL LIBERO MASO DE I COI, FEUDO SIGNORILE DEL XIV SECOLO, ALLE PENDICI DEL MONTE PELMO, NELLA COMUNITÀ STORICA DEL PATRIARCATO DI AQUILEIA”. Qui potete leggere una interessante riflessione sulla indivisibilità della Repubblica italiana.

E’ noto che la Costituzione italiana, del 1947, all’art. 5, dice: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali […]”. L’affermazione sull’unità e indivisibilità della Repubblica è, pertanto, un’esplicazione e non una parte del discorso diretto; questo inciso esplicativo può essere inteso in due sensi contrapposti: in senso minimale, come sarebbe a dire un’affermazione meno vincolante, oppure in un senso massimalista, dando all’inciso valore di sottolineatura, che si risolverebbe di fatto persino nell’impossibilità di (ri)mettere in discussione tale unità e indivisibilità. Finora è prevalsa, giustamente, l’interpretazione massimalista e, a livello di opinione pubblica, solo da pochi anni essa è osservata con maggiori distacco e criticità; ma è ora, possibilmente una volta per tutte, di scorgere e di comprendere come quella “bella frase” non abbia un entroterra filosofico e giuridico che la giustifichi e la sostenga. Che anzi, al contrario, la caricano di un qualcosa di ridicolo e grandemente inopportuno.
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dite che non c'entra? c'entra, c'entra...
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In filosofia, infatti, solo l’essere in sé e in quanto tale è “uno e indivisibile”, mentre tutti gli esseri, dal primo all’ultimo, non godono contemporaneamente di entrambe quelle qualità. L’Essere è uno e indivisibile perché, se fossero due, occorrerebbe postulare una diversità; ma qualcosa che sia diverso dall’Essere non può essere. Tutta la filosofia dell’uno ruota, e nessuno l’ha mai contestata, attorno a questa verità. Nessuno, eccetto la Repubblica italiana, che, se avesse fondamento filosofico quanto detto all’art. 5, sarebbe un ente che coincide con l’Essere stesso, un ente necessario, eterno, dal quale scaturirebbero, essendo unico e indivisibile, tutti gli altri esseri, in Italia e fuori.

Le varie religioni hanno ben presente l’accennata verità filosofica. Ma è soprattutto nel cristianesimo e con il concilio di Calcedonia, in Cappadocia, nel 451, che si ebbe la formulazione del dogma della Trinità, quale Dio “uno e indivisibile”, pur in tre persone. Da allora l’espressione è entrata nel linguaggio comune, sia liturgico che civico, tanto che ancora nel 1700 (e anche oltre) troviamo atti diplomatici e notarili che iniziano con la frase: “In nomine sanctae et individuae Trinitatis”, “In nome della santa e indivisibile Trinità”. Così anche il trattato di pace tra Austria e Italia, del 3 ottobre 1866, per evidente volontà dei cattolici austriaci, iniziò con le parole: “In nome della Santissima e Indivisibile Trinità” (un traduttore poco religioso intese il Santissima per Serenissima!). La qualifica di “Essere uno e indivisibile” in senso personalistico, in effetti, può essere applicata in assoluto solamente a Dio; a Dio… e alla Repubblica italiana, secondo quest’ultima! “In assoluto”, perché se è “in relativo” ossia rebus sic stantibus al 1947, oggi potrebbe essere modificata; ma, se non è modificabile, è frase che, unico Stato al mondo (che si dice democratico) applica a sé solo… e a Dio!
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Neppure nella storia troviamo istituzioni (neppure la Chiesa cattolica, che nella professione di fede si dichiara “una, santa, cattolica e apostolica” e che è indubbiamente indivisibile) che abbiano avuto l’ardire di applicare a sé una definizione riservata a Dio. Nessuna, neppure tra gli Stati antichi che adesso diciamo assolutisti; mai se l’applicò, ad esempio, l’Impero d’Austria. E’ stato necessario giungere alla Costituzione francese del 3 settembre 1791, estorta dai rivoluzionari e in spirito ormai apertamente anticristiano, per leggere la frase: “Le Royaume est une et indivisibe”. Persino nello Statuto albertino (del 1848 e in vigore fino al 1947) non v’è traccia d’una frase sull’unità e indivisibilità dello Stato. E’ inevitabile chiedersi: la Repubblica italiana aveva proprio bisogno d’essere la “più furba” e far sua una frase che nessuno, a parte i rivoluzionari di 156 anni prima, aveva osato pronunciare? Era un completamento necessario della dichiarazione, all’art. 1, del suo essere democratica o non corrispondeva, piuttosto, al bisogno di mettere de facto un limite, mascherandolo di forza de iure, alla democrazia interna? In ogni caso, resta una limitazione, che nessuno Stato moderno impone ai propri cittadini; e ciò non è da poco.

E interessante ricordare, a questo punto, che J. J. Rousseau nel “Contratto sociale” (libro II, cap. 2) fa una riflessione sulla sovranità quale bene indivisibile. Da qui l’interrogativo se la frase della Costituzione possa essere letta non in riferimento alla Repubblica come tale, sebbene tale sia la dizione letterale, ma in rapporto alla sovranità, di cui all’art. 1 c. II. Se, cioè, non si debba intendere riferita al popolo al quale tale sovranità “appartiene” (così nel testo). Penso che in definitiva sia proprio così, altrimenti dovremmo concludere che la frase dell’art. 5 è una castroneria. Se però, volendo salvarla, la colleghiamo al concetto di sovranità e di popolo, dobbiamo avere il coraggio di portare le conseguenze di cui parla J. J. Rousseau, ossia che, per essere tale, la sovranità deve esprimere il volere di tutto il popolo; il che, in effetti, è indiscutibile. Come che la si voglia mettere, resta vero, solo a essere intellettualmente onesti, che l’art. 5 della Costituzione o è della massima stravaganza (filosofica, storica e giuridica) o è tale da non contrapporsi al diritto sovrano della Nazione e dei popoli che la compongono.

FONTE: http://www.lindipendenzanuova.com/don-pellegrini-linsostenibilita-dellespressione-repubblica-una-e-indivisibile/

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