LAVORI IN RIVA AL SILE

Mestieri sulle rive del Sile

Era un’autostrada fluviale per far arrivare velocemente in laguna i prodotti delle colline e delle campagne trevigiane.
Percorrere il Sile per scoprire come questa via di comunicazione, alla stregua di tutti gli altri fiumi che sfociavano a nord e a sud di Venezia, abbia per millenni plasmato il profilo socio-economico e creato il carattere culturale delle genti che avrebbero dato vita alla Marca Gioiosa.

Parco Sile Oasi Mulino Cervara
 Viaggiare a bordo di un’imbarcazione sul più lungo fiume di risorgiva d'Italia per rivivere le sensazioni provate dai primi navigatori-esploratori-commercianti che risalivano i corsi endolagunari dell’Alto-Adriatico alla scoperta di nuove genti con cui scambiare merci e tecnologie.
Poco più di 70 km separano le sorgenti di Casacorba di Vedelago (TV) a Portegrandi di Quarto d'Altino (VE), la foce naturale nella Laguna di Venezia, prima dello scavo del "Taglio del Sile"e la creazione del Silone.
Comunque è sempre emozionante, provando sensazioni impagabili, arrivare in laguna ed entrare in bacino S. Marco dalle bocche di porto di S.Niccolò. Soprattutto quando il sole sta tramontando dietro la basilica della Salute.
Le rive erano animate, sin dalle origini degli insediamenti, da attività che poi sarebbero scomparse con il progredire della tecnologia e con l’evoluzione della società ed oggi purtroppo completamente sparite, tanto che si sta perdendo la memoria collettiva.

I mestieri
I barcàri, che lo percorrevano a bordo dei loro burci, dovevano convivere con i proprietari dei mulini che trasformavano la forza motrice in energia per far funzionare mulini, folli e magli.
Il Sile è stato definito anche la via dei mulini. Grazie alla sua regolare portata e a quella dei suoi affluenti, il mulino idraulico ebbe la sua massima diffusione tra il V° e l’XI° sec. Le prime notizie certe di una pala sono del 710 sorta nei pressi di Casier. Nel 1568, a valle di Treviso, esistevano ben 84 ruote di mulini mentre in quel periodo nel solo centro di Treviso si hanno notizie di almeno sette pale che servivano per le lavoraziont del pellame, del ferro e per la macinatura delle granaglie.

Burcio a pieno carico

Il Sile a Quinto di Treviso forma un lago a seguito alle pesanti escavazioni del passato con oltre venti metri di profondità. L'importante sequenza dei mulini che formano il nucleo centrale del paese testimonia quella che fu l'imponente "industria molitoria” della Marca trevigiana.
Porto di Silea, Burcio della Croce Rossa durante la Prima Guerra mondiale
 Su Sile venivano trasportate una grande varietà di merci, in particolare era notevole la quantità di grano che Venezia invia ai mulini trevigiani perché fosse macinato. Anche le stoffe venivano portate per la follatura negli impianti sullo Storga a Porto di Fiera.
In città sorsero sui corsi che l’attraversavano (Cagnan e Roggia) i mulini delle monache della Cella, dell'abate di Nervesa, dell'abate di Follina e del comune a S. Francesco, il mulino a 3 ruote sul Cagnan a S. Agostino, i tre mulini sul Cagnan Maggiore a S. Leonardo, quelli di S. Michele sul Cagnan Minore, il mulino e il follo da panni dell'ospedale cittadino di Santa Maria di Betlemme, a S. Giovanni del Tempio, il mulino della Torre Lunga, quello sul ponte S. Cristoforo tra Roggia e Cagnan, le chiodere (loc. Al Ciodo) e le tintorie dei Ravagnini a S. Vito tra i due Cagnani e i mulini di S. Martino.

Barriera Garibaldi al ponte della Gobba, inizio 1900
L’andirivieni sulle rive era caratterizzato da mugnai, da lavandaie che andavano a lavare i panni nelle acque limpide, i cavallanti, i cariolanti, i comanderessi, gli squerarioli, i maestri d'ascia, gli artigiani che raccoglievano piante palustri per fare scoe, impajar careghe, costruire nasse e reti da pesca, e chi traghettava fornendo il servizio del passo a barca, segherie, mole per coltellinai e fabbri dentro e fuori le mura.

Le risorse natutali del territorio
I tratti paludosi erano ricchi di cannucce (canèe), coltellacci (paére), mazzasorda (paeròssi) e carice (paja da carèghe). Tutta questa vegetazione forniva lo strame, par starnìr e bestie ed essere utilizzato quale lettiera (métergheo sóto dove che ee dormìa) contribuendo alla produzione di letame. Le erbe palustri fornivano la materia prima per quel tipo di artigianato ormai definitivamente scomparso, almeno a livello professionale.
In primo piano sulla destra i bertovei in giunchino

Cannucce (Canèe): una volta asciugate all’ombra si facevano i graticci (grisiòe) utilizzati in edilizia e nell’allevamento dei bachi da seta.
Coltellaccio (Paére): cresce sott'acqua con foglia larga. Integrava il foraggio non sempre abbondante destinato all'alimentazione dei bovini.
Mazzasorda (Paeròssi): le foglie erano usate come lettiera per il bestiame. Inoltre erano vendute ai "bottèri" che le inserivano nell'incastro delle "dóghe" sul fondo delle botti o dei tini.
Carice (Pàja da carèghe): Era ed è ancor oggi il miglior materiale usati dai impajadori per impagliare le sedie, attività in cui erano specializzati i belumat che scendevano in pianura durante la stagione invernale ed in cambio di un po' di latte, un piatto di minestra e di pochi spiccioli lavoravano nella stalla, dove poi trascorrevano la notte. Inoltre sapevano rivestire fiaschi e damigiane, costruire ceste/contenitori, stuoie e borse.

Fino a non molti anni fa a Roncade, per antica tradizione, si lavava la biancheria dei ristoranti e degli alberghi di Venezia. C'è ancora oggi chi si ricorda i prati su cui, a perdita d'occhio, erano stese ad asciugare tovaglie e lenzuola. Altrettanto viene ricordato il sacrificio delle donne, per ginocchia gonfie e mani piagate, chine sul lampòr (significa limpido nel trevigiano), l'asse inclinata di legno che serviva d'appoggio per insaponare, spazzolare, lavare e riscacquare la biancheria.
Il "piano di lavoro" misurava mediamente 1metro e mezzo di larghezza per 75 cm di profondità.

Le Fornaci furono le prime attività di tipo industriale, già dal 790, che vennero aperte per la concomitanza di due fattori: il terreno argilloso di tipo alluvionale delle aree rivierasche come quella di Dosson e la vicinanza del Sile dove poter trasportare mattoni e tegole necessarie per le costruzioni a Venezia. Fino alla fine del 1900 rimase, per le numerose fornaci, la primaria attività dell’area a sud-est di Treviso.
Ex Fornace Fregnan a Musestre di Roncade - Archeologia industriale (foto di Gianfranco Speranza)

 I Passi a Barca (traghetti) sono stati per molti secoli l’unico modo per attraversare il Sile. Gli unici ponti in epoca romana sono stati quelli sulla via Annia a Ca' Corner (presso Trepalade) e sulla via Claudia Augusta a Musestre. I passi a barca del Sile non ebbero lo stesso peso economico di quelli sulla Piave, essendo i primi destinati a trasbordi più di persone ed animali che di merci e carri.
Passo barca a casale sul Sile, inizio 1900
 La pesca fluviale, fino alla fine del secolo scorso, era praticata lungo tutto il Sile fino al mare.
Abitualmente i contadini che vivevano nelle vicinanze si trasformavano in pescatori, come i mugnai, che pescavano bisate (anguille), tinche e squali (lucci); gli strumenti più utilizzati erano i bertovei (trappole in rete o di giunco di forma cilindrico-conica), le nasse, costruite in vimini, ed altri attrezzi usati saltuariamente come la fiocina e il rezzaglio.

Càneva con pàntane
La necessità di spostarsi in questi ambienti, in cui dominava l'elemento acqua, sviluppò la navigazione a bordo di semplici imbarcazioni, a fondo piatto come la pàntana dalla prua e dalla poppa mozze, governabili con una lunga pertica (àtola) di salice (selghèr) senza mai raggiungere i livelli tecnico-costruttivi dei marangoni della laguna. Queste imbarcazioni multifunzionali servivano per poter praticare l'attività di caccia e pesca, la raccolta delle erbe palustri, il trasporto di modeste quantità di granaglie ai mulini, traghettare persone e animali da una sponda all'altra.


http://www.parcosile.it

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