LO SCEMPIO NAPOLEONICO DI VENEZIA

Elio Costantini in pochi tratti, usando una memoria d'epoca ci riassume egregiamente il disastro dell'arrivo napoleonico. Fu la fine di una civiltà che poteva continuare, ammodernando lo stato, a essere uno dei fari dellaciviltà occidentale. Basta pensare al contributo veneto nell' arte solo nell'ultimo secolo della vita di Venezia.

Carlo Botta, chirurgo e rivoluzionario giacobino della prima ora, scappato in Francia nel 1795, ritorna in Italia l'anno dopo come chirurgo nell'armata francese guidata da Napoleone Bonaparte; da Venezia prosegue per Corfù e torna in Italia nel 1798. Nel 1799 fece parte del Governo provvisorio della Nazion Piemontese istituito dopo la fuga del re Carlo Emanuele IV e nel 1801 fu uno dei triumviri insieme con l'anatomista Carlo Giulio e Carlo Bossi; sostenitore di una politica filofrancese, fu favorevole all'annessione del Piemonte alla Francia, proclamata l'11 settembre 1802, e fu poi bonapartista eppure a lui vengono attribuite queste parole:"
È più facile immaginare che descrivere quale dovette essere l'animo dei patriotti (intende i giacobini veneziani ndr) in quei giorni. Spinti ad un cambiamento di governo per esser poi abbandonati, lusingati per esser meglio traditi, venduti da una repubblica, essi repubblicani, ad un principe assoluto e straniero erano riserbati, quasi tutto ciò non bastasse, a sentirsi tacciar di vili dal Bonaparte perché non si difendevano, a vedersi arrestare dal medesimo i rappresentanti veneti che andavano a chiedere al Direttorio le armi per difendere la libertà secondo il voto del popolo raccolto nei comizii. Nulla esprime quella dolorosa situazione meglio delle ardenti parole dello scrittore rammentato.
"Serrurier non temendo di macular lo splendore dei suoi fatti, accettata da Bonaparte la suprema autorità in Venezia ed il mandato di fare la gran consegna, svaligiati prima, secondo i comandamenti avuti i fondachi pubblici del sale e del biscotto, spogliato avarissimamente l'arsenale, rotte o mutilate le statue bellissime che in lui si miravano, fatto salpare le grosse navi, affondate le minori, rotte a suon di scure le incominciate, arso in San Giorgio, a fine di cavarne le dorature, il Bucintoro, reliquia veneranda per la memoria delle antiche cose e per le opere eccellenti di scoltura che l'adornavano, rovinata e deserta ogni cosa che allo stato appartenesse, consegnava agli Alemanni, lietissimi di tanto meravigliosa conquista, la città di Venezia."
"Faceva il popòlazzo qualche allegrezza onde si accresceva il dolore universale: i democratici o fuggiti o nascosti: dei patrizii i più piangevano: alcuni anelavano alle ambizioni nuove. Cosi peri Venezia. Ora quando si dirà Venezia, s'intenderà di Venezia serva: e tempo verrà, e forse non è lontano, in cui quando si dirà Venezia, s'intenderà di rottami e d'alghe marine là dove sorgeva una città magnifica, meraviglia del mondo. Tali sono le opere bonapartiane".

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