Le canzoni nate in trincea: LA LEGGENDA DEL PIAVE

Le canzoni nate in trincea



Il Monte Nero, il Monte Grappa ed in mezzo la Piave.


Non è un caso che questi tre luoghi abbiano dato origine e siano stati i protagonisti dei canti più importanti della Iª Guerra Mondiale, teatri delle battaglie più sanguinose che caratterizzarono il conflitto dove migliaia di contadini, di artigiani e di operai di entrambe le parti morirono.

Canzoni nate sul campo, realisticamente autentiche, forse non belle ma che sono sopravvisute fino ai giorni nostri, come La leggenda del Piave, La canzone del Monte Grappa e Monte Nero a conquistar.

E.A.Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta) autore della Canzone del Piave


La più famosa è senz'altro La leggenda del Piave, scritta da Giovanni Ermete Gaeta, un postino-barbiere-poeta napoletano con il titolo scolastico di maestro, che si firmava con lo pseudonimo di E.A.Mario. Avrebbe potuto diventare milionario con i diritti d'autore ma la Siae commise un vera ingiustizia. Non gli volle riconoscere alcun diritto proprio per la sua popolarità, avendo considerato il testo alla stregua dell'inno nazionale, cioè di proprietà dello Stato.

Inoltre va aggiunto che l'inno nazionale definitivo in sostituzione del provvisorio Inno di Mameli avrebbe dovuto essere proprio La Canzone del Piave ma Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio di quei tempi, non avrebbe appoggiato la candidatura della canzone perché offeso da Gaeta che si rifiutò di comporre l'inno ufficiale della Democrazia Cristiana.
Fanti italiani in trincea






La leggenda (nella leggenda) vuole che il Gaeta avesse scritto quelle strofe proprio nei giorni della battaglia del Solstizio, nel giugno 1918, con la matita copiativa che aveva in dotazione, sui moduli di servizio delle poste. Essendo un dipendente delle Regie Poste aveva il compito di portare e distribuire la posta al fronte.
Quando il suo amico Raffaele Gaddordo cominciò a cantarla, ebbe una tale diffusione tra i soldati che lo stesso Cadorna avrebbe mandato un telegramma al Gaeta per complimentarsi, dicendo "... la vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale ...".



Prima strofa: il fiume Piave assiste al concentramento silenzioso di truppe italiane, citando la data dell'inizio della Prima guerra mondiale per il Regio Esercito italiano. Ciò avvenne la notte tra il 23 e 24 maggio 1915, quando l'Italia dichiarò guerra all'Impero austro-ungarico e sferrò il primo attacco contro l'Imperial regio Esercito, marciando dal presidio italiano di Forte Verena dell'Altopiano di Asiago, verso le frontiere orientali. Proprio il primo colpo di cannone, partito dal Forte Verena verso le fortezze austriache situate sulla Piana di Vezzena, diede ufficialmente inizio alle operazioni militari dell'Italia nel conflitto. La strofa termina con la famosa ammonizione: Non passa lo straniero, riferita, appunto agli austro-ungarici.

Seconda strofa: a causa della disfatta di Caporetto, il nemico cala fino al fiume e questo provoca sfollati, profughi da ogni parte.

Terza strofa: racconta il ritorno del nemico, con il seguito di vendette che ogni guerra riserva.

La Piave pronuncia il suo "no" all'avanzata dei nemici e la ostacola gonfiando il suo corso, reso rosso dal sangue dei nemici. Nonostante venga arricchita di spunti patriottico-retorici, l'improvvisa e copiosa piena del Piave costituì davvero un ostacolo insormontabile per l'esercito austriaco, ormai agli sgoccioli con gli approvvigionamenti e il sostegno di truppe di riserva.

Quarta ed ultima strofa: Gaeta la aggiunge dopo l'armistizio di novembre e si immagina che, una volta respinto il nemico oltre Trieste e Trento, i patrioti Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro e Cesare Battisti, tutti uccisi dagli austriaci, tornassero idealmente in vita con la vittoria.

"Indietreggiò il nemico / fino a Trieste, fino a Trento / e la vittoria sciolse le ali al vento".

Il testo dovette subire una modifica con il mutare degli orientamenti storiografici: inizialmente la disfatta (o lo sfondamento austriaco) di Caporetto venne addebitata da Cadorna allo scarso spirito combattivo degli italiani e Gaeta aveva scritto "... in una notte trista / si parlò di tradimento / e il Piave udiva l'ira e lo sgomento / ah quanta gente ha vista / venir giù, lasciare il tetto / per l'onta consumata a Caporetto... "

Quando fu chiaro che la colpa era più dei generali che dei fanti, la parola tradimento venne sostituita con fosco evento.
Nervesa dopo la battaglia
Fanti italiani pronti all'assalto, zona di Nervesa
Soldati italiani tra le macerie di quello che rimaneva di Nervesa




La canzone del Monte Grappa e Monte Nero a conquistar.

Fu il generale Emilio De Bono (lo stesso che a settantotto anni si lasciò arrestare e fucilare dai militi della Repubblica Sociale) a scrivere il testo de La canzone del Monte Grappa, senz'altro dopo la battaglia del Solstizio, testo pieno di retorica senza un accenno alle morti, senza un cedimento alla pietà per le giovani vite sacrificate. Per la musica diede l'incarico al capitano Antonio Meneghetti non avendo tra i suoi subalterni nessun Giuseppe Verdi.

L'autore della seconda sarebbe stato individuato nell'alpino Domenico Borella che l'avrebbe intitolata "Canzone omoristica del 3º Reggimento Alpini alla conquista del Monte Nero".

Un canto, dai toni ben diversi da quelli della Leggenda del Piave, scritto con parole ricche di sentimenti per commemorare il primo successo italiano, la conquista da parte degli alpini del Monte Nero, la cima appuntita sovrastante la piana di Caporetto, avvenuta il 16 Giugno 1915.

Per molti anni si evitò di cantare la quarta strofa che recitava: "Colonnello che piangeva / a veder tanto macello / Fatti coraggio alpino bello / che l'onore sarà per te".

Bisognerà aspettare De Gregori per associare un alto grado dell'esercito al pianto ("... generale queste cinque stelle, queste cinque lacrime sulla mia pelle ...") per affermare che pure un generale può avere sentimenti "femminili".





Contributo tratto dal libro <CAPORETTO ANDATA E RITORNO – Un viaggio sentimentale dall'Isonzo al Piave > di Paolo Paci, Edizione Il Giornale – Biblioteca storica.

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