IL CONTRIBUTO VENETO A LEPANTO, TANTO PER CAPIRE MEGLIO. E LA BATTAGLIA.

"Non la virtù, non le armi, non i comandanti, ma Maria del Rosario fece di noi dei vincitori"

Il mattino del 7 ottobre 1571 iniziò lo scontro tra le flotte cristiana e musulmana al largo di Lepanto (oggi Nafpaktos), allo sbocco del golfo di Corinto ed a nord di quello di Patrasso. La flotta cristiana era sotto il comando supremo di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale del defunto Imperatore Carlo V, ai cui ordini stavano i veneziani Sebastiano Veniero ed Agostino Barbarigo, il romano Marcantonio Colonna, il genovese Gian Andrea Doria, ed era composta di circa 208 galee, centodieci delle quali avevano comandanti veneziani, anche se, per la scarsezza di uomini, gli equipaggi erano stati rinforzati con truppe provenienti dagli Stati spagnoli, in specie archibugieri. Trentasei galee provenivano da Napoli e dalla Sicilia; ventidue da Genova; ventitré dagli Stati pontifici e da altri Stati italiani (18); quattordici dalla Spagna in senso stretto e tre da Malta. Vi era poi naviglio minore: sei galeazze, tutte venete, e oltre 60 fregate.

In totale circa 280 bastimenti, sui quali trovavano posto 1.800 pezzi d’artiglieria, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 43.000 vogatori. 

La flotta turca, al comando dell’ammiraglio Alì-Mouezzin Pascià, contava circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori, per un totale di circa 290 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 41.000 rematori (in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci)
Venezia, F. Bertelli 1572, museo storico navale 

La vittoria cristiana fu netta. Gli alleati della Lega contarono circa 7.500 morti, uccisi o annegati, in gran parte soldati, e circa 20.000 feriti e persero 12 galee. Il Generale Giustiniani, dell’Ordine di Malta, e il comandante della galera capitana dell’Ordine, fra’ Rinaldo Naro, furono feriti tre volte; 60 cavalieri di Malta perirono nel combattimento. I turchi ebbero 30.000 morti e 10.000 prigionieri, circa 100 navi bruciate o affondate e 130 catturate; 15.000 schiavi cristiani furono liberati. “Il trionfo cristiano fu immenso”, scrive Braudel.

Alle cinque della sera, ora in cui si concludeva la battaglia, il Papa stava attendendo agli affari di curia con alcuni prelati, quando ad un tratto s’interruppe, si accostò ad una finestra fissando lo sguardo verso l’Oriente come estatico, per poi esclamare: “Non occupiamoci più d’affari, ma andiamo a ringraziare Iddio. La flotta cristiana ha ottenuto la vittoria”.
Il Re Filippo II di Spagna stava assistendo ai vespri nella cappella del suo palazzo quando entrò l’ambasciatore veneziano, proprio mentre veniva intonato il Magnificat, gridando “Vittoria! Vittoria!”. Ma il re non volle che si interrompesse la sacra funzione. 

Solo al termine fece leggere il dispaccio e intonare il Te Deum. S. Pio V attribuì il trionfo di Lepanto all’intercessione della Vergine: volle che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse l’invocazione “Auxilium Christianorum, ora pro nobis”, e fissò al 7 ottobre la festa in onore di nostra Signora della Vittoria. 

Nel 1573, Gregorio XIII, suo successore, trasferì la festa alla prima domenica di ottobre, col titolo di solennità del Rosario; Clemente VIII la riportò al 7 ottobre, estendendola a tutta la Chiesa e facendola inserire nel Martirologio romano con queste parole: “Commemorazione di S. Maria della Vittoria, istituita da Pio V, Sommo Pontefice, per l’insigne vittoria riportata dai cristiani sui turchi in una battaglia navale, con la protezione della Madre di Dio”. 

Pio VI fissò infine il 24 maggio la festa di Maria Ausiliatrice, in memoria della battaglia di Lepanto e della propria liberazione a Savona. Il Senato veneziano fece scrivere sul quadro della battaglia di Lepanto, collocato nella sala delle sue adunanze, la famosa epigrafe: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit”.

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