CAPORETTO VISTA DA UN "NEMICO" FURLAN

Udine occupata dagli austroungarici

Chi vi propone l'articolo, cioè io,  non ha nessuna nostalgia per "el paròn" austriaco, allo stesso modo in cui non ama l'annessione italiana. Anche se tra le due disgrazie, la prima forse era la meno peggio.  Ma certamente è interessante leggere un pezzetto di storia, cioè lo sfondamento di Caporetto, anche dal punto di vista del "nemico". Specie se il "nemico" è in realtà un fratello friulano.

"Batae di Cjaurêt"
La storia vista da un soldato friulano dell'esercito Austro-Ungarico-
"Guido Marizza e la pagnotta."
Arriva l’ottobre del ’17 e le truppe italiane sul fronte dell’Isonzo vengono sbaragliate. Per gli Austro-Tedeschi è la battaglia di Flitsch-Tolmein (Plezzo-Tolmino), per gli Italiani è la disfatta di Caporetto.
A Caporetto (Kobarid in sloveno, Karfreit in tedesco) la popolazione slovena si precipita festante in strada a salutare i liberatori germanici. Tarcento era stata saccheggiata dai soldati italiani in ritirata ma le truppe austriache ristabiliscono l’ordine.



A Udine quasi tutti gli abitanti sono fuggiti, influenzati dalla propaganda secondo cui i Tedeschi (che il giornale “Il popolo d’Italia” descriveva come dediti al cannibalismo) avrebbero assassinato tutti indistintamente. Dappertutto scene di saccheggio, vetrine sfondate, civili uccisi, soldati italiani ubriachi fradici: il nemico in fuga ha depredato la sua stessa città, dopo che i vincoli disciplinari si sono sciolti.
Nella città abbandonata molti soldati italiani vanno saccheggiando e appiccando incendi. In tutti i villaggi la popolazione friulana saluta cordialmente i soldati germanici, fiduciosa nel fatto che la loro impressionante vittoria avrebbe presto condotto alla pace.


A Passons, San Marco e Mereto di Tomba i soldati vittoriosi vengono salutati e accolti assai cordialmente. Anche a Maiano la 50^ Divisione incontra tracce di saccheggi e viene accolta festosamente dalla popolazione. A San Daniele, come in molte altre località, i civili scendono in strada con ceste di burro e marmellata, cioccolata, uva e altri viveri per i soldati austro-tedeschi.
A Gemona i saccheggi da parte di soldati italiani sbandati raggiungono una tale gravità che il sindaco deve chiedere protezione alla divisione Jaeger dai suoi stessi connazionali. Anche a Cimolais e Claut gli italiani hanno saccheggiato tutto.
Di chi è la responsabilità di tutto ciò? Secondo il generale Cadorna è di alcuni “reparti della II Armata, vilmente arresisi o ignominiosamente passati al nemico”. La colpa, insomma, sarebbe dell’ultimo soldatino, non dei capi come il generale Pietro Badoglio, in realtà uno dei massimi responsabili della disastrosa disfatta, che dopo la guerra, grazie ai suoi appoggi politici, anziché andare dritto in galera, sarà ricompensato con ogni genere di favori, onori, prebende, promozioni e decorazioni.
Carlo I visit ai kaiserjager tirolesi


Le truppe austriache, dunque, e con esse anche il soldato Guido Marizza, nell’autunno del ’17 varcano l’Isonzo, tornano a Gradisca ma non si fermano, passano anche il Torre, il Tagliamento, la Livenza e arrivano fino al Piave. E lì si fermano, perché un nemico armato si può sconfiggere, la fame no.
Quando mi raccontava la situazione di quei giorni, il nonno Guido diceva: “Se gavevimo ancora una pagnoca, rivàvimo fin a Milan!”

(dal libro "Antologia di Isunz River" di Gianni Marizza)

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