LE REGOLE E IL MODO DI GOVERNO VENETI

A Venezia Il gran Consiglio, l’assemblea dei nobili, eleggeva il Senato, che decideva sulle leggi e la politica dello stato. Ogni Senatore aveva diritto illimitato di parola, ma doveva attenersi ai temi all’ordine del giorno o al tema del dibattito. Poteva essere richiamato dal doge, ma solo dopo che questi aveva l’appoggio dei suoi Consiglieri, dei Procuratori di Stato o dei capi dei Dieci (magistratura importantissima). 
Non vi erano i banchi vuoti come succede ogni giorno da noi, perché i Senatori non si potevano allontanare se non avevano superato i 70 anni, senza il permesso della presidenza.

Discorsi troppo lunghi suscitavano raschiamenti di gola e strusciar di piedi, ma non si assisteva certo alle risse odierne. 
Si parlava il veneziano, la lingua “dotta” era riservata allo scritto dei documenti pubblici, e quando nel ‘700 qualche senatore si arrischiava a parlar in “toscano” suscitava in genere qualche risatina di scherno. Tutti dovevano indossare la toga rossa senatoriale, e la parrucca, dal 1600 in poi, anche fuori dall’aula.

Delle apposite commissioni preparatorie, composte dai “Savi del consiglio” o “Savi grandi” preparavano l’agenda dei lavori, formulavano le risoluzioni, sovraintendevano la loro esecuzione.
Ad essi furono uniti i Savi di “Terraferma” e i Savi agli Ordini (che si occupavano del commercio marittimo e delle terre d’oltremare) e tutti insieme formavano, insieme al Doge e ai suoi Consiglieri,  il “Pien Collegio”. che si poteva definire un “consiglio di ministri”.

I Procuratori di Stato mi richiamano alla mente invece, la Corte Costituzionale, dato che vegliavano sulle sedute controllando che ogni Collegio non esulasse dai suoi compiti. In casi del genere essi costringevano la Signoria a deferire la questione al Maggior Consiglio o al Senato.

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