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Visualizzazione dei post da luglio, 2017

SVELATO IL MISTERO DELLE SCRITTE SULLE COLONNE DI PIAZZA SAN MARCO

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Dan Morel Danilovich ci svela il mistero delle scritte sulle colonne di cui prlavo all'articolo sotto: Così ancora oggi in piazza San Marco, fra alcune scritte che appaiono sul colonnato delle Procuratie Nuove relative ai moti rivoluzionari del 1848, ne compaiono almeno un altro paio: “W Marco Giustiniani”, si legge scritto in rosso con tanto di corno dogale sulle colonne di fronte al Caffè Chioggia (in piazzetta), all’altezza dei civici 13 e 13A e, poco distante, all’angolo delle Procuratie sul lato del campanile. Un altro bel corno dogale rosso con la data 1588 (quell’anno era doge Pasquale Cicogna) appare disegnato a mano all’altezza dell’anagrafico 18. Mentre la scritta relativa a Marco Giustiniani (più conosciuto come Marcantonio Giustinian) fa esplicito riferimento alla sua elezione, avvenuta nel 1684 (fu doge nei successivi quattro anni), la scritta inneggiante a Cicogna si riferisce a un evento avvenuto mentre quel doge sedeva a palazzo: la posa della prima pietra

SE LA BRENTA POTESSE PARLARE...

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ecco cosa racconterebbe. "La Brenta" ( come era corretto chiamarla un tempo ). Di Simonetta Dondi dell'Orologio Le popolazioni del Veneto centrale hanno coniato  in illo tempore  una parola -  Brentana  - che vuol dire alluvione, riferendosi al nostro Brenta che attraversa il territorio proveniente dal Trentino Alto Adige e scende fino alla Laguna. Ma il nome romano è molto più significativo:  Medoacus  sembrerebbe che il suo significato sia -  in mezzo a due laghi  - ovvero per i laghi dove nasce e la propria Laguna. Con il tempo i grandi lavori d’ingegneria idraulica fecero che i fiumi, che sboccano nella Laguna, furono deviati...come tutti sappiamo. Sembrerebbe che fino all’Alto Medioevo il fiume, dopo Bassano si dividesse in due: uno entrava a Padova per la zona di Sant’Agostino, mentre  il ramo sinistro entrava nel centro per la zona degli Scalzi. La funesta data del 589 ci racconta di una terribile alluvione che sconvolse gran parte del Veneto: 4 fiu

W LA REPUBBLICA VENETA ! NEL 1848, E OGGI?

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Luciano Dorella mi manda le foto di queste scritte ancora superstiti, sul colonnato di piazza San Marco in una Venezia ormai quasi immemore del suo antico ruolo di capitale dei veneti, in cui si inneggia alle repubblica. Potrebbe essere la Repubblica Veneta del 1848, probabile... ma non fu definita "di Venezia" proprio perché Daniele Manin non voleva urtare la suscettibilità dei rivoluzionari dell'Entroterra, e riproporre la città nel suo ruolo naturale di Capitale dei veneti. Poi leggo anche W Marco Giustiniani ed Escluderei che si trattasse di Marcantonio Giustiniani, 107 mo Doge del XVII secolo, simili scritte erano vietate che io sappia. Le troviamo a Belluno e a Feltre, nel palazzo dei Rettori in deroga a quanto usava a venezia, ma per i nuovi rettori. Se qualche amico ne sa di più si faccia vivo!

LA VERA PATRIA DEI VENETI E LA TRADIZIONE DEI POPOLI

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Un amico torna da una sortita in Austria, e mi riferisce ammirato di una festa, in cui si riunivano i giovani di sei paesi di una valle, e giovani ragazze e ragazzi, ascoltavano un concerto di musica rock INDOSSANDO I LORO COSTUMI TRADIZIONALI.   Da noi non potrebbe mai succedere, nel Veneto attuale: la realtà nuda è che stiamo faticosamente risalendo dall'abisso unitario, ma purtroppo ci hanno (e ci sono riusciti anche per colpa nostra, specie con la complicità delle classi dirigenti locali) cancellato le nostre radici, dove potevano, facendoci vergognare persino della nostra lingua.   Ecco quanto scrissi un paio d'anni fa, ricordando le parole di La Charette, a capo dei fratelli vandeani, contro lo stato rivoluzionario francese (sostituite la parola re, con San Marco) : «La nostra Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi.  La nostra Patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re

IL PALAZZO DEI SOLDATI DEL LIDO

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Di Simonetta Dondi dell'Orologio La  sede naturale , come baluardo di difesa per mare, è il Lido di Venezia....Qui nel 1591 ha sede il Palazzo dei Soldati che fu  Quartiere Generale  al tempo della Serenissima. Fin dal 1202 aveva proposto il doge Enrico Dandolo di sostare qui 40.000 crociati in attesa di salpare per la Terra Santa, costruendo grandi  capanne di tavole  a San Nicolò ed anche scuderie per i cavalli. Durante la Guerra di Chioggia (1378-79), la Serenissima affidò la difesa della città a Vettor Pisani che fece costruire due robuste torri di legno sulle rive dell’imboccatura del Porto di Lido collegandole con un sistema di catene e piccoli battelli capace di bloccare la navigazione. In seguito, nella prima metà del XVI secolo, a causa della minaccia turca, la vecchia torre, detta "Castel Vecchio" e situata di fronte a Sant'Andrea, venne completamente ricostruita ed ampliata si che dai lavori risultò una fortificazione formata da un corpo centr

IL LINGUAGGIO DELLA MARINA AUSTRO VENETA

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“ La gabara aveva armato il ghis de maestra e sprovinava ”. Che tradotto, e opportunamente aggiornato, vuol dire che la nave da carico aveva tirato su la randa di maestra e stava volgendo la prua al vento. Giacomo Furlan, imperial regio maestro effettivo, nel 1913, fa uscire a Trieste dalla Tipografia del Lloyd, un compendio dei vocaboli e delle frasi che, egli dice, erano già allora “ormai sconosciuti o quasi ai nostri giovani marinai”. La fonte del suo lavoro, pubblicato in due riprese, trae lo spunto dal vocabolario nautico italiano-tedesco che il Weis aveva pubblicato sempre a Trieste nel 1852 ad uso dell’imperial regia marina da guerra austriaca. Termini Nautici Bisogna infatti considerare che la “forza” della marina austro-ungarica era costituita da ufficiali e marinai prevalentemente originari della costa adriatica che, nella lunga dominazione veneta, provenivano da tutte le terre un tempo occupate dalla Serenissima e cioé partendo dalle lagune venete fino ad arrivare ai co

Il Canova e un curioso Leone di San Marco

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Di Simonetta Dondi dell'Orologio Quando si parla di un grande artista si ricordano sempre le opere più famose, ma noi di Canova racconteremo l'episodio che diede una svolta nella sua giovane vita. Lui era di una famiglia un tempo benestante, impoverita per cattivi investimenti che costrinsero il piccolo Antonio, rimasto orfano, a lavorare in una cava di marmo, ospitato dal nonno materno. Lì egli, per diletto, incominciò a scolpire delle figure che donava al figlio del Senatore veneto Giovanni Falier, che possedeva una villa ai Padrazzi di Asolo. Appunto in questa casa successe un piccolo dramma: la cuoca aveva rotto lo stampo in vetro per riprodurre un Leone marciano che serviva come ornamento a una torta in occasione di un pranzo solenne... Il piccolo Antonio si mise all'opera, e lo rifece tale e quale in burro. Fu la sua fortuna, perché il Falier, entusiasta, subentrò al nonno, e lo fece sistemare nella bottega dello scultore Giuseppe Bernardi detto il

I "TIRANTI" DI BURCI E BURCHIELLI

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TIRANTI SULLA  BRENTA anni '50 Il  tirante   è colui che, in un fiume o canale, traina una barca, con la forza delle braccia o utilizzando animali, prevalentemente cavalli. Il traino era spesso molto difficoltoso, specie in presenza di fiumi dalla corrente impetuosa. Assai più agevole, invece, in zone più calme, come il corso del Brenta verso la foce. Ancora più facile è trainare una barca quando l'acqua è pressoché ferma. Il Naviglio fu tra i primi corsi d'acqua al mondo ad essere dotato di chiuse, che permettevano di superare agevolmente i dislivelli e di richiedere un traino abbastanza leggero anche per barche ingombranti. In genere, a partire dal cinquecento, troviamo che  burci   e  burchielli   sono trainati da un solo cavallo. In qualche caso, specie in discesa, basta un uomo. In Riviera del Brenta il lavoro dei tiranti è documentato da tempi assai lontani: la prima menzione si ha ai tempi di Teodorico, nella famosa lettera che Cassiodoro invia ai  tribuni

IL PRIMO TEATRO ANATOMICO DEL MONDO FU A PADOVA

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Di Simonetta Dondi dell'Orologio Nel 1493, Alessandro Benedetti pubblica a Padova la sua Historia corporis humani, nella quale alla fine del capitolo primo è citato per la prima volta nella storia il concetto di teatro anatomico. Si trattava di un palco provvisorio in legno, montabile e smontabile all’occorrenza, a forma di anfiteatro, all’interno del quale questo celebre professore operava delle pubbliche dissezioni a beneficio degli studenti di medicina, e non solo. Alla epoca gli anatomisti potevano dissezionare esclusivamente i cadaveri dei condannati a morte, e Benedetti propose di estendere il permesso anche ai morti per malattia: fu anche grazie al suo impulso che la pratica settoria si diffuse in ambito medico, ma toccherà aspettare Vesalio perché la mentalità scientifica al riguardo approdi alla piena maturità. E, proprio esaminando il famosissimo frontespizio del suo De humani corporis fabrica, e “cancellando” tutti gli spettatori, si può avere un’idea dell

IL GATTO "SORIANO" VENEZIANO TRA STORIA E LEGGENDA. .

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...CATTIVO COME LA PESTE :) di Simonetta Dondi dell'Orologio La processione del Redentore, per la liberazione dalla peste Da molti secoli i veneziani rispettano i gatti che, al tempo della Serenissima, nei lunghi viaggi verso l'Oriente, venivano usati per difendersi dai ratti. La loro bravura era tale che si decise di imbarcarli come ciurma a gruppi di tre o quattro con un marinaio specificamente addetto ai gatti ed erano considerati dei veri e propri portafortuna. La leggenda narra che con le galeazze veneziane, che in quei tempi facevano da corrieri commerciali tra Venezia e l´Oriente, arrivò anche il famigerato topo nero, il topo della peste, e poiché i gatti veneziani non erano sufficientemente feroci per combatterlo, si decise di importare dalla Palestina e soprattutto dalla Siria una razza molto combattiva - i soriani - per incrociarla con i gatti veneziani. Anche se il flagello era ormai esploso in tutta la sua virulenza, I gatti importati contribuirono in buon

NAPOLEONE III E L'INDIPENDENZA DEL VENETO

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Di Don Floriano Pellegrini Il documento col quale Napoleone III nel 1866 riconobbe l’indipendenza del Veneto. Non passa giorno, si può dire, senza venga a galla un documento che butta all’aria il castello di menzogne della storiografia ufficiale italiana, facendola apparire quale carta moneta stampata e diffusa senza avere alle spalle corrispondenti risorse auree, per giustificarla: un inganno colossale.Uno di questi documenti è conservato, ma chi se n’era accorto?, nella stessa “Gazzetta Ufficiale” del regno d’Italia, che alla data del 3 settembre 1866, facendo tutto un giro di parole, riporta una lettera dell’imperatore francese Napoleone III, ancora dell’11 agosto, al re d’Italia Vittorio Emanuele II. Questa la lettera integrale: A Vittorio Emanuele II “ Signor mio fratello, Ho inteso con piacere che V.M. [=Vostra Maestà] ha aderito all’armistizio ed ai preliminari di pace firmati tra il Re di Prussia e l’Imperatore d’Austria. E’ dunque probabile che una nuova era di

L'ELMO DI OPPEANO VENETICA, ATTIS E I DOGI

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Oggetto raffinatissimo frutto della tecnica d'incisione a bulino celtica, le raffigurazioni proprie del mondo Etrusco, legato ad un alto sacerdote paleoveneto.Tre civiltà che attraverso questo copricapo riescono a fondere il loro sapere. La forma e il messaggio L'elmo di Oppeano è di forma conica con un pomello schiacciato al vertice. Questo particolare è fondamentale per comprenderne la sua funzione sacerdotale. Il materiale usato è una robusta lamiera di bronzo tenuta assieme da rivetti,mentre il pomello è una fusione piena,a differenza di altri simili ,tipo l’elmo di Cremona. Con questo studio si vuol tentare di chiarire a cosa servisse questo copricapo, cosa rappresentasse la sua forma, cosa indicassero i suoi disegni, chi lo detenesse e a quali specifiche funzioni fosse finalizzato. Oltre all’interesse per l’oggetto in sé, è utile far luce sui riti ,sui sacerdoti,sui santuari, sulle modalità proprie di espressione della sacralità religiosa di quei popoli che antic