IL VENETO OCCUPATO DALL'AUSTRIA, L'ITALIA NEGA GLI AIUTI AL POPOLO AFFAMATO

Di Gualtiero Scapini Flangini
E' interessante leggere che il comando austro-ungarico aveva proposto al governo italiano di inviare viveri alle popolazioni affamate rimaste nelle provincie occupate, ma che tale proposta era stata respinta. Questo ci illumina su quanto fossero (e sono) tenute in considerazione a Roma le nostre genti venete. Ricordo che una proposta simile era stata fatta, sempre dal governo imperiale per il sostentamento dei prigionieri di guerra italiani rinchiusi nei campi dell'Impero e che anche in quel caso il governo italiano l'aveva sdegnosamente respinta. Nel secondo caso l'alto comando militare aveva tacciato i prigionieri di guerra italiani come disertori e vigliacchi, non meritevoli dell'aiuto della "Grande Proletaria".
Un brano tratto da un libriccino del 1934 scovato in una vecchia biblioteca. Il testo tratta dell’ultimo periodo della Grande Guerra, quello che va da febbraio alla metà di luglio 1918.
non avevamo gli alberghi  tre stelle e neanche le stalle, per dormire
Vescovo e popolo di Vittorio Veneto chiedono aiuti
L’Arciduca Giuseppe d’Ungheria accenna di frequente alle spoliazioni fatte dai tedeschi ed alle misere condizioni nelle quali erano state ridotte le popolazioni italiane del Veneto. “Il castello - tranne pochi oggetti - è stato completamente spoliato dai tedeschi. In tutta la regione questi hanno requisito fino all’ultima mucca e fino all’ultimo chicco di grano, così che ora ci tocca quasi di mantenere la popolazione, mentre il nostro paese e le nostre truppe muoiono di fame”.

Ai primi di febbraio il clero di Vittorio Veneto si presenta al Comando della Sesta Armata per chiedere viveri. L’arciduca risponde che, date le interruzioni eseguite sulle linee ferroviarie, queste consentono per il momento un rifornimento ridotto, e i rifornimenti viveri non bastano per le truppe. Appena il traffico ferroviario sarà riattivato (occorrono per riparare le linee 9-10 settimane), si farà il possibile per aiutare la popolazione. L’arciduca fa però presente che, date tali difficoltà, era stato proposto da parte austro-ungarica al Governo italiano di inviare viveri per le popolazioni rimaste nelle province occupate, ma che tale proposta era stata respinta.
Una persona che l’arciduca cita sovente nel suo diario il vescovo di Vittorio. Egli è stato avvertito dai tedeschi che bisogna essere guardinghi, nei riguardi del prelato il quale è sospetto di spionaggio. L’arciduca commenta, però, che anche se ciò fosse vero, il vescovo <come italiano, non farebbe che il suo dovere>. Un giorno l’arciduca viene informato da un famoso detective addetto alle formazioni della Croce Rossa svizzera presso l’Esercito austro-ungarico - il quale parlava perfettamente italiano e ha l’incarico dal Comando d’armata di sorvegliare la popolazione italiana - che il vescovo di Vittorio gli ha affidato due lettere perché <nel suo viaggio in Italia> siano recapitate a suoi amici italiani.
Nelle lettere non v’è nulla di sospetto, ma il vescovo vuole altresì che il latore cerchi alcune personalità italiane per informarle che <le truppe austro-ungariche soffrono la fame e si agitano tanto, che il comandante della Sesta Armata è costretto di andare tutti i giorni in trincea per tranquillizzarle. Questo sarebbe il momento più opportuno per un attacco italiano che provocherebbe un vero disastro>.

Da queste notizie l’arciduca è indotto ad una maggiore circospezione. Nota però: “E che sarebbe se il nemico occupasse la nostra amata terra d’Ungheria? Non sarei io molto più pericoloso per l’invasore di quanto non sono questi poveri preti che io comprendo molto bene, anche se il mio dovere è d’impedire a tutti i costi la loro attività? Ammiro il loro eroico patriottismo”.
Più tardi, quando Boroevic vuole che il vescovo sia tradotto a Lubiana e processato per spionaggio, l’arciduca ottiene che, per il momento, si sospenda la procedura fino a che non si siano acquisite prove sicure sull’azione svolta dal prelato.


da: LA VITTORIA ITALIANA DEL PIAVE NELLE MEMORIE DELL’ARCIDUCA Pagg. 5-7
Roma - Società Poligrafica Italiana - 1934 - XII E.F.

Commenti