BRESCIA "FIDELIS" COME VERONA. ECCO IL PERCHE'


L’anno successivo, tra la Serenissima e il ducato di Milano, in conseguenza della mancata applicazione della Pace di Ferrara, riprese la guerra per il possesso della Lombardia Orientale. Il comandante su-premo delle truppe venete, Francesco Bussone detto il Carmagnola, non dimostrava molta decisione contro le truppe del Ducato di Milano ed esitava ad attraversare l’Adda per sferrare un decisivo attacco.
Addirittura, dopo la vittoria veneziana di Sommo, si ritirò oltre l’Oglio e il Chiese, deciso invece ad attaccare Montichiari, in mano ai milanesi, nel settembre 1427. Allo stesso tempo Carlo II Malatesta, comandante dei milanesi, attraversava l’Oglio entrando in territorio bresciano e metteva l’assedio a Urago, difesa da Antonio Martinengo, piazzandovi otto bombarde.
Il Carmagnola però, l’otto ottobre riprese Montichiari e, pressato dal Senato veneto, corse in soccorso di Urago assediata. A metà strada, il 10 ottobre, si accampava nei pressi di Maclodio, conquistandola in breve. Il 12 ottobre Urago capitolava e i milanesi accorrevano verso Maclodio per attaccare le truppe veneziane.
Il Piccinino, comandante delle truppe milanesi, sbarrava la strada, costeggiata da fossati, in mezzo al terreno paludoso che rendeva difficoltosi i movimenti della cavalleria veneta. Lo stesso 12 ottobre 1427, alle quattro pomeridiane, le truppe del duca di Milano Filippo Maria Visconti, e quelle veneziane e fiorentine alleate nella lega anti viscontea, iniziavano la battaglia di Maclodio.
Dopo una serie di cariche della cavalleria veneta, i milanesi avanzarono verso lo schieramento nemico, ma il Carmagnola spinse le sue forze concentrate verso il centro dello schieramento milanese spezzandolo in due tronconi e lo costrinse a ritirarsi. Conquistava così la strada verso Urago.
Tra le truppe milanesi si diffuse il panico, frutto anche dell’incomprensione tra i comandanti.

 Questo fatto e il terreno paludoso segnarono la disfatta delle truppe viscontee, che si diedero alla fuga. Lo stesso Piccinino fu ferito e solamente grazie all’intervento di Francesco Sforza i resti dell’esercito del duca di Milano riuscirono a ritirarsi verso Pompiano. Di là si diressero a Orzinuovi, dove furono respinti, e infine, traversato l’Oglio, ripararono a Soncino, territorio milanese.

 Nonostante lo scontro interessasse un’ingente massa di combattenti, i caduti furono relativamente pochi. I milanesi furono sconfitti; copioso fu il bottino e alto il numero dei prigionieri che già il giorno successivo furono liberati dal Carmagnola. Questo fu il motivo che indusse il Senato Veneto a sospettarlo di tradimento.
Francesco Bonsignori
La guerra si concluse con la pace del 18 aprile 1428, che riconfermava il possesso del territorio bresciano alla Serenissima, con l’aggiunta della Val Camonica, conquistata dal Carmagnola nella campagna invernale del 1427-28. Gli intrighi del Carmagnola con Filippo Maria Visconti furono infine confermati dalle notizie giunte da Milano, dove il patrizio veneziano Giorgio Corner era stato incarcerato, sottoposto a incessanti interrogatori e ferocemente torturato per alcuni anni, per sapere che cosa veramente i veneziani fossero riusciti a scoprire sui maneggi del capitano di ventura con il Duca di Milano.
Il Carmagnola fu richiamato a Venezia, giudicato e decapitato il 5 maggio 1432. Uscito di scena il Carmagnola, toccò a Francesco Sforza sostituirlo come comandante dell’armata veneta. Vi furono ancora vari scontri tra le truppe venete e gli eserciti dei Visconti che culminarono con il lungo assedio di Brescia del 1438 ad opera di Niccolò Piccinino, durante il quale, il 13 dicembre 1438, si verificò l’episodio dell’intervento dei Santi Martiri Faustino e Giovita, patroni della città, combattenti a fianco del popolo bresciano che difendeva gli spalti del Castello.
vittoria dei Milanesi a Maclodio
 Testimoni del fatto, Cristoforo Soldo, che ne fece relazione nella sua Cronaca, e il Capitano di Brescia Francesco Barbaro, che inviò a Venezia due famose lettere nelle quali celebrava il valore dei bresciani.
Famosa l’impresa titanica del trasferimento di un’intera flotta da Venezia al lago di Garda, con il trasporto delle galere attraverso i monti, da Rovereto a Torbole, per correre in soccorso della città assediata, intrapresa dal succitato Francesco Sforza. L’assedio fu rotto due anni dopo dall’arrivo dell’esercito veneto guidato da Scaramuccia da Forlì. Per il valore e l’attaccamento dimostrato verso San Marco il Senato Veneto proclamò la città di Brescia “Leonessa e degna sposa del Leone” conferendole il titolo di “Brixia Fidelis”.

dal libro La Lombardia Veneta di Gualtiero Scapini Flangini

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