ZARA: UN "IMMENSO POPOLO" BACIA E BAGNA DI LACRIME IL GONFALONE

Il generale Rucavina, partito da Trieste imperiale, arrivò il sei luglio 1797 a Zara per prenderla in consegna secondo le regole militari e nel perfetto ordine disciplinato della guardia veneta.
Gli zaratini, tutti insieme, vollero però che la nuova bandiera salisse sui pennoni in contemporanea, col grandioso funerale del Gonfalone, che la srtessa nuova Venezia giacobina aveva ormai ripudiato con disprezzo.
Il generale Ricavina non poté "iscavarsi" - come dirà poi - quella che per lui fu una penosissima lugubre cerimonia cui dovette assistere con i suoi soldati, schierati a rendere l'onore delle armi anche facendo "spalla" all'ultima sfilata delle venete milizie al rullo dei tamburi.
Così racconta il Romanin:
Staccate il primo di luglio le venete bandiere nella cittadella e nella piazza delle Erbe di Zara, venivano portate sopra due bacili da due capitani con accompagnamento di due schiere di militi, e a tambur battente, alla piazza dei Signori, ov'erano attese da tutta la milizia veneta, che ancora vi si trovava. 
Presentate al Sergente Generale Antonio Stratico, questi tenne un affettuoso discorso sul doloroso motivo che quel giorno li convocava, e consegnandole ai colonnelli, furono portate in processione lungo la via Longa, tra il fragore dell'artiglieria fino alla cattedrale, e deposte sull'altar maggiore. 

Dopo il Te Deum, e l'orazione per il nuovo Imperatore, lo Stratico, avanzatosi all'altar, baciava con fervore quelle bandiere lagrimando di commozione  e l'esempio era seguito dagli altri ufficiali e da un numero immenso di popolo, tanto che esse s'erano veramente bagnate, esempio non che mirabile, anzi, unico, di affettuosa sudditanza." 
... C'è stato in Zara il tempo per preparare il popolo e si è avuta la fantasia di escogitare la cerimonia civile, militare e religiosa e soprattutto popolare, del Gonfalone.
Il gonfalone e il Leone che vi era ricamato, non erano per la Repubblica quello che la Bandiera era per i Regni, ma molto di più. Non era l'insegna di una Casa regnante, che si perpetuava in una Dinastia, ma era l'insegna del Doge, era San Marco in forma de Lion. E San Marco era il vero capo dello Stato.
I Re brandivano il loro sigillo, mentre il Doge si inginocchiava davanti all'asta che reggeva il Gonfalone e così veniva scolpito e coniato.
La città, nella sua universalità,  ha accompagnato la sua bandiera sull'altare dove è diventata qualcosa di più del simbolo di uno stato, salendo più in alto dei pennoni lasciati al nuovo vessillo imperiale, e così assurgendo all'eternità.
Le lacrime del popolo tutto hanno ammantato quell'incoscio sentimento.

Luigi Tomaz - Dalla parte del Leone

TOSI, SORELE E FRADEI VENETI, NON MANCHEMO EL 25 APRILE, PAR ONORAR EL GONFALON DE £A NOSTRA PATRIA COMUNE. DIMOSTREMO A L'ITALIA E AL MONDO CHE NOL ZE MORTO.  




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