L'IDENTITA' DI UN POPOLO prefazione a "La Dea Veneta"

Identità                                                          propostoci da Dino Raro
di Giandomenico Picco
ex sottosegretario dell'ONU
dalla sua prefazione al libro di Piero Favero
„La dea Veneta” ed. 2012
… negli anni le vicende della vita mi hanno portato faccia a faccia con molte genti; ho dovuto diventare non un professore ma almeno un attento studente delle identità, e non solo per capire i miei interlocutori dall'Hindukush alla Bekaa, dalla Siberia alla California.

Conoscere la propria identità non è facile, conoscere quella degli altri ancora meno; eppure è tale dimensione che ci rende quello che siamo e quindi determina in larghissima misura ciò che facciamo.

I sogni di un individuo come le aspirazioni e le scelte di un popolo sono formati da quello che pensiamo di essere. Il cammino della razza umana è costellato di visioni, di progetti nati da ambizioni di pochi o di molti. Ciò che abbiamo scritto come umanità non poteva essere immaginato senza il „bagaglio” che portiamo nella nostra mente e nel nostro cuore.

Quel bagaglio ha origini assai remote, precede la nostra memoria e ha contribuito a formarla, contiene elementi di qualcosa che non abbiamo mai conosciuto ma che si è amalgamato nelle tradizioni, nel mito, nei gesti e nelle immagini, provenendo da ciò che ci è stato trasmesso e da frammenti di quello che noi stessi abbiamo raccolto nel percorso della nostra vita: quel „bagaglio” va aperto non solo per cercare di capire chi siamo ma anche per immaginare dove stiamo andando.

Aprire il bagaglio che portiamo con noi non è facile e meno ancora scoprire quello che c'è dentro. Anche quando lo si desidera non è facile aprire quel bagaglio.
......
La pace di Westfalia (1648) nel dare origine al concetto moderno di stato nazione, poi consolidatosi con le rivoluzioni Americana e Francese, fece dell'identità l'àncora della nuova struttura politico-sociale e culturale. L'identità era legata ad una definita area geografica. La chiave della costruzione di Westfalia risiede tuttavia nel fatto che l'identità venne intesa come una e sola : un concetto al singolare.
E' questo forse l'intoccabile tabù del mondo in cui viviamo?

L'identità al singolare ha molte colpe: fra le altre quella di essere all'origine di molte guerre. Ciononostante, è sempre quell'entità al singolare che è all'origine di gesta nobili e coraggiose, di sogni d'ambizione, di orgoglio, di onore, di sentimenti altruistici che per secoli hanno fatto da carburante alla dimensione “noi e gli altri” da cui nessuno veramente riesce a sfuggire.

Come due facce della stessa medaglia, la dimensione è fonte di bene e di male. In un mondo dove l'autarchia era possibile, dove il contatto con il vicino era assai limitato, la tentazione dell'identità singola era irresistibile, forse necessaria.

Wesfalia ne fece un'arma segreta.

Ma tale arma è ancora utile in un'epoca dove il concetto di vicino trascende lo spazio, dove il vicino non è più definito solo dalla contiguità geografica? Con la globalizzazione la capacità di impatto con
la vita degli altri non è più legata alla vicinanza fisica.
Circa vent'anni fa in condizioni che si potrebbero definire poco ortodosse, in terre dove la narrativa prevalente definirebbe di un'altra civiltà, mi trovai a dover discutere con uomini armati e mascherati. In un momento difficile della conversazione, increduli che le loro informazioni fossero esatte, mi chiesero: “Ma tu da dove vieni?” Li aveva colti di sorpresa il fatto che una parte del mio “bagaglio” non coincidesse con ciò che essi immaginavano dell'altro, inteso come diverso. Risposi forse provocatorio invitandoli a venire con me a conoscere il loro “nemico”. La reazione fu immediata e quasi violenta. Ad essa commentai “Non vuoi venire a conoscere il nemico perché temi che, nell'incontrarlo, la dimensione stessa di nemico possa cessare di essere”. …


Viene da pensare, leggendo queste pagine (del libro), alle tribù che attraversarono nei millenni queste terre che oggi noi definiamo Europa. Vengono evocati spostamenti di uomini, donne e bambini, che con le loro masserizie, animali, memorie, raggiungevano altri territori dove il loro bagaglio si arricchiva con parte di quello appartenente a coloro che erano già sul luogo e contribuiva ad arricchire il corredo di chi li riceveva. Le leggende che adombrano la storia non ci parlano solo di scontri e battaglie ma anche di incontri e fusioni che costituiscono forse la parte più misteriosa nel processo di crescita dell'umanità.

L'illusione della singola identità definisce la nostra epoca secondo Amaratya Sen, premio Nobel per l'economia nel 1998. Egli invoca la necessità di riconoscere le nostre multiple identità come precondizione per un mondo di pace.

La ricerca delle radici di ognuno e della nostra individuale unicità tra miliardi di esseri umani è un passaggio obbligato per capire meglio chi siamo. In questo tragitto di ricerca inevitabilmente finiamo per attribuire un ruolo chiave “all'altro”. Il giornalista e scrittore polacco Kapuscinski scrisse del ruolo storico della diversità “dell'altro” come elemento motore di quello che si dice storia. Non usò il termine “identità multiple”, ma fece appello all'umanità di accettare e riconoscere “l'altro” per la quantità di noi stessi che c'è nell'altro.

Dominique Moisi alcuni anni fa ci ricordava che la globalizzazione probabilmente eroderà l'autorità degli stati nazionali, cambierà il significato del concetto di sovranità e anche di nazionalità, ma darà maggior valore al concetto di identità.

L'esperienza migratoria delle popolazioni venetiche non è certo stata l'unica, tuttavia è importante per capire la storia non solo di un popolo ma di un intero continente. L'Europa è il prodotto di questi spostamenti. Rimasi sorpreso ed offeso quando, per spiegare le guerre dei Balcani degli anni 90, più di qualcuno usò il termine di “guerre etniche”. Di colpo la storia di millenni venne ignorata.

Il passato va studiato certo, ma con molta attenzione. Non contano solo gli scontri ma anche gli incontri; occorre andare al di là dei cosiddetti “fatti”, occorre avere il coraggio di aprire tutto il bagaglio.

I confini dell'identità non sono poi così precisi e netti. L'identità non è una dimensione statica del nostro essere, il tempo e lo spazio non passano senza lasciare traccia.

Con la nascita prossima dello “stato post-Westfaliano”, le generazioni future dovranno confrontarsi con la dimensione delle Identità multiple in ciascuno di noi o almeno con quella dell'evoluzione delle nostre singole identità. Faranno bene a leggere di Reitia, a scoprire di più del bagaglio che portiamo con noi.

Giandomenico Picco

Salviamo la nostra identità, le nostre tradizioni e salveremo il nostro popolo e il nostro futuro.

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