I MOTIVI STORICI DELLA RABBIA VENETA, DEL BOCA LI ILLUSTRA

La Repubblica di Venezia - Serenissima per 1500 anni - ha insegnato a mezzo mondo a parlare e a far di conto. Il veneto era la lingua diplomatica utilizzata dai diplomatici del mar Adriatico fino in Oriente.
I ducati e il soldo, (coniato, per la prima volta, dal doge Francesco Dandolo) avevano la funzione dei dollari di oggi.
Autonomie ed indipendenza sono state inghiottite agli sgoccioli del XVIII secolo. Napoleone, col trattato di Campoformio, ha decretato che le terre della regione veneta dovevano far parte dell'impero austro-ungarico.  Dall'oggi al domani i padroni si son ritrovati sudditi. E mentre prima ordinavano che si facesse, d aquel momento, per poter fare, occorreva ottenere l'autorizzazione. Il mondo sottosopra.
Non per nulla a Napoleone - col titolo imperiale e l'armata francese - tocca il primo posto nella bacheca ideologica degli orrori commessi contro i veneti.
Primo comunque in ordine di tempo, perché l'egoismo dello stato italiano è riuscito a sembrare persino peggiore.
I Savoia (degli anni del Risorgimento) e la Repubblica che ne è seguita (nata dalla Resistenza) si sono segnalati per la quantità di pretese, talvolta spudorate, alle quali non è stato nemmeno possibile opporre obiezioni per rettificarle.
I Veneti, abbandonati a se stessi e sfruttati quasi come una risorsa coloniale, dovrebbero essere contenti? Al punto da cantare le lodi a chi li considera alla stregua di vassalli?
C'è da fare i conti non solo con la "questione meridionale" ma anche con quella del "nord est" che - figurarsi in politica - non trova spazio nemmeno nelle agende culturali. L'unità d'Italia, invece che risolvere i problemi, li ha ammonticchiati.
Quando si incomincerà a prenderne inconsiderazione gli argomenti?
Basta guardarsi un poco indietro, guardando le pagine di storia, per ritrovare sentimenti, umori, sensazioni, che mettono nelle condizioni di comprendere l'avversione di oggi di questa terra e il malanimo della gente.
Fin dalla rivolta di Venezia dal 1848 - quella di Daniele Manin e Nicolò Tommaseo -  doveva apparire chiaro quali erano le loro aspirazioni.

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