GUARDARE I TULIPANI E' PARLARE FORESTO. VENETI E LONGOBARDI

Di Giancarlo Cunial

Il Veneto è una lingua o un insieme di lingue o un miscuglio linguistico....
Una buona parte delle sue parole deriva dal Latino.
Una fettina deriva da un arcaico linguaggio preromano.
Importante è la presenza del Francese, del Provenzale e del Franco, ma anche delle lingue germaniche.
E poi c'è tutta la parte del linguaggio di origine levantina (Greco, Arabi, Persiano), cioè orientale, grazie agli intensi rapporti commerciali e diplomatici della Serenissima Repubblica con Bisanzio e con le terre degli Ottomani.

Come si vede, la lingua veneta si è mischiata (arricchita, secondo me; imbastardita, secondo altri) di lingue, culture, modi di dire, fraseologie di tanti popoli, perché è così che si evolve la parlata delle comunità umane: le isole linguistiche sono sempre state destinate ad aprirsi, a diventare penisole e poi regionli linguistiche.

Per esempio, i Langobardi,una popolazione germanica che girò per buona parte dell'Europa centrale (dal fiume Elba alla Dalmazia) prima di entrare nell'Italia settentrionale dal Friuli (attraversarono l'Isonzo...., sempre lui, il fiume che per l'Italia rappresneta il confine orientale!), nel 568 dopo Cristo. Con il loro capo, Alboino.

I Longobardi erano in centomila, forse poco di più, compresi i vecchi, i bambini, le donne. Dove passavano, di solito, distruggevano. Tutto.
Finché si sono decisi a fermarsi.
Cioè sono diventati stanziali o sedentari, da nomadi che erano.

Hanno costruito un loro regno, abbastanza importante, con capitale Pavia. Hanno conquistato, oltre all'Italia settentrionale, anche la Toscana e si spinsero persino a Benevento. Ma non erano capaci di aggredire e conquistare un territorio omogeneo, almeno all'inizio della loro presenza in Italia, forse perché non ne avevano la mentalità.
Per esempio, Machiavelli diceva che non riuscirono mai a conquistare del tutto (o persero quasi subito) città molto importanti come Roma, Ravenna, Cremona, Mantova, Parma, Bologna, Faenza, Forlì, Cesena....

Ma, per esempio, Cividale in Friuli lo occuparono saldamente. Così anche le maggiori città poste sulla fascia collinare e nell’alta pianura veneta e lombarda, come Ceneda (l’attuale Vittorio Veneto), Treviso, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo, mentre i centri militarmente più difficili, tra cui Oderzo, Altino, Concordia, Padova, Monselice, vennero parzialmente conquistati, oppure solo temporaneamente assediati, spesso lasciati liberi....

Cosa ci resta della loro civiltà, della loro arte, della loro cultura, delle loro leggi? Poco, ben poco.
Sono noti alcuni oggetti d'arte dei Langobardi, come le fibule e gli umboni. Ma anche la bellissima Croce di Agilulfo e gli altri manufatti di oreficeria che sono conservati nel Museo di Monza..... Sappiamo che si convertirono al Cristianesimo (con la regina Teodolinda). Conosciamo il loro documento più importante: l'editto di Rotari, la prima raccolta scritta delle leggi dei Langobardi, promulgata alla mezzanotte tra il 22 novembre e 23 novembre 643, giorno di San Colombano (un santo monaco di origine irlandese che era venerato nella famosa abbazia di Bobbio, idove fu materialmente scritto l'Editto)....

Ma la testimonianza più viva dei langobardi è la loro lingua che essi imposero in Italia e le cui parole entrarono e si mescolarono con le altre parlate preesistenti. Per esempio sono parole di origine langobarda (ma anche gotica e, più in generale, germanica):

ARENGO, il parlamento dove si riunivano per approvare le leggi i rappresentanti dei Comuni e delle Città italiane nel Medioevo: in gotico, hrings significa «circolo, assemblea, riunione».

BROLO, orto, frutteto (in langobardo si diceva brogilos, in celtico si diceva broga, col significato di campo); anche la località di Possagno "el Broj" indica la stessa cosa: località rurale destinata a orto e a frutteto.

GREMIRE, fare il pieno di cose o persone, riempire un luogo di persone; deriva dal langobardo krammjan che significa «riempire».

GRIFFA, artiglio, grinfia, gancio; in langobardo, grif significava atto di afferrare, di acchiappare (grīfan).

GRINZA, ruga, piega; dal langobardo grimmison che significa corrugare, piegare.

PATAPUNFETE, si dice ai bambini quando cadono o quando cade qualcosa: ha la stessa origine di TONFO, caduta. Deriva dal langobardo tumpf, caduta, rumore sordo della caduta. A sua volta "tumpf" è una parola onomatopeica, cioè imita il suono della caduta.

SCHERMIRE, nascondere, proteggere, riparare, difendere; dal langobardo che poi è germanico *skirmjan che significa proteggere; Dante nella Vita Nuova parla di una donna dello "schermo", cioè Beatrice non veniva chiamata per nome che doveva restare assolutamente celato, secondo le regole del galateo amoroso cortese, onde evitare le insidie dei ‛lausengiers' e dei ‛malparlieri'.

SCHERZARE, giocare, divertirsi; dal longobardo, *skerzōn, come in tedesco scherzen, che significa scherzare.

SCHIENA, dorso, parte dorsale del torace, compresa tra le spalle e le reni; dal langobardo skena e dal germanico skina.

TUFFARSI, immergersi; dal langobardo tauffjan e taufan.

GUARDARE, fissare lo sguardo, sorvegliare, custodire, fare la guardia; dal germanico wardōn guardare, warten custodire, warte vedetta. In Veneto si dice infatti VARDAR, per dire guardare, e FAR LA VARDA, nel senso di guardare senza intervenire. Così la località VARDANEGA a Possagno, uno dei colmelli più belli del Veneto, significa luogo di vedetta.

Un altro grande popolo, anzi: altri grandi popoli che ebbero contatti diretti e prolungati col territorio veneto sono stati gli Arabi turchi chiamati anche Ottomani.
Il Fontego (magazzino) dei Turchi, l'invasione di Cipro, la battaglia di Lepanto, la guerra di Morea... sono tanti gli eventi che testimoniano i legami profittevoli e burrascosi tra le due civiltà, quella veneziana e quella turca.

Anche da questo fronte, la lingua veneta (e poi quella italiana) ha appreso numerosi termini oggi di uso comune. Ecco i principali:

ARANCIA, che però i Veneti dicono meglio NARANZA: è il frutto (e l'albero) che deriva dall'arabo persiano narang.

CARCIOFO, la buona pianta delle tubuliflore deriva dall’arabo kharshūf e anche al-karshuf: da quest'ultima deriva il veneto ARTICIOCCO, probabilmente dallo spagnolo alcarchofa.

DIVANO, ampia e morbida sedia per più persone, imbottito e con cuscini (detto anche canapè o sofà), usato in sale, salotti e altri ambienti di soggiorno. Il nome è dovuto al fatto che questo tipo di sedile costituiva l’unico arredamento dell'edificio chiamato, appunto, dīwān, che era il Consiglio dei Ministri o l'ufficio di dogana presso i Turchi; come mobile, entrò a far parte dell’arredamento degli ambienti di rappresentanza delle dimore signorili europee e occidentali dal Seicento, ripetendo, opportunamente ampliate, le forme della poltrona; deriva dall’arabo dīwān, voce di origine persiana.

DRAGOMANNO, interprete; deriva dal turco targiuman col significato stesso di interprete (esiste anche turcimanno).

PERSEGO è il nome più corretto di PESCA. perché si tratta della mela che viene dal golfo... persico appunto.

SCALOGNA, la famosa cipolla, deriva il suo nome dalla città araba di Ascalona, in Palestina.

SOFÀ, ampia e morbida poltrona, dal turco arabo suffa che significa cuscino.

TAMBURO, è lo strumento musicale che apre la banda; deriva dall’arabo ṭunbūr, nome di uno strumento musicale a corde, incrociato con ṭabūl, tamburo.

TULIPANO, il famoso fiore olandese; dal turco tülbend turbante, perché il fiore ha la stessa forma del turbante degli arabi. Chissà se le Lescano lo sapevano quando cantavano "Odi il canto delizioso nell'incanto sospiroso. Parlano d'amore i tuli, tuli, tuli, tulipan"!

TURCO, è la parola che indica il popolo dell'Asia Minore, la sua lingua e molte altre sue caratteristiche: andare in una turca ha un significato del tutto... liberatorio, invece fare il bagno turco ha un effetto rilassante, fumare come un turco... non fa bene alla salute, il caffè alla turca lo si prepara col cezve, il tipico bricco di rame e ottone.... Turchesca si dice una famosa sala arredata all'Orientale del Caffè Danieli di Venezia: me la descriveva sempre estasiata la signorina Federighi che al Danieli la chiamavano a fare l'interprete dall'Inglese per i grandi personaggio che lo frequentavano. E poi, gli ambienti seducenti e affascinanti della Turchia e in generale del Levante arabo, sono stati rappresentanti dal pittore Ippolito Caffi. Ci sono anche alcuni cognomi derivati da questo popolo: Turchetti, Turcato ecc.

ZUCCHERO, la dolce polvere derivata dalla canna; in turco si dice sukkar da cui più precisamente il veneto ZUCCARO

Con tutte queste parole, possiamo quindi dire che a guardare i tulipani parliamo foresto, due volte: parliamo germanico-langobardo e turco.

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foto1, dal sito museocorrer: Ippolito Caffi, "Costantinopoli: l'Ippodromo", 1843, olio su cartoncino
foto2, dal sito pinterest: spilla circolare, di oreficeria langobarda

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Ho consultato per questo post il Vocabolario Palazzi, La Valcavasia, testo a cura di Massimiliano Pavan, la Historia Langobardorum di Paolo Diacono.

Sì, è vero: mi piacerebbe poter cambiare nel linguaggio comune la parola longobardi in LANGOBARDI, più corretta.

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