GRAMSCI E L'UNITA' D'ITALIA MAI REALIZZATASI, IL VATE SCOMODO DELLA SINISTRA

Nel vedere un gran sventolio di tricolori solo per le kermesse calcistiche, uno si chiede come mai non siamo come i francesi, o gli americani, per cui il vessillo sventola fuori dalle villette e sui balconi senza che le "autorità" siano costrette, come è stato da noi di recente, per il raduno degli alpini, a fissare le bandierine tricolera fuori dalla portata dei sudditi veneti, nel timore che ne  facessero strage.  
Gramsci aveva capito che l'Unità (usiamo pure il maiuscolo maiestatis) era  stata il prodotto di fattori esterni all'Italia, ed era servita per i bisogni di pochi, a danno delle masse. Peccato che la sinistra italiota non abbia dato molta retta al suo Vate, il quale del resto, pure nel carcere di Ventotene, era tenuto abbastanza in disparte dai suoi colleghi di partito e sventura. 

Il Risorgimento non è stato affatto un movimento nazionale; l’unificazione è stato piuttosto il risultato di una complessa serie di accadimenti casuali ed imprevedibili per lo più estranei agli italiani, perché gli italiani erano divisi e per nulla ansiosi di raggiungere l’unità nazionale. L’unità, infatti, non costituiva l’obiettivo di molti tra i principali protagonisti del Risorgimento. Né l’unità era gradita a molti di questi quando finalmente è stata raggiunta.

In breve, dall’interpretazione gramsciana del Risorgimento si può dedurre che il processo di unificazione dell’Italia inteso come rivoluzione nazionale è del tutto infondato. Ciò perché le forze che hanno “spinto” verso l’unità sono venute prevalentemente dall’esterno; per questo motivo, è più realistico parlare di Risorgimento come “movimento europeo”, anche se poche minoranze patriottiche hanno svolto un ruolo essenziale nella lotta per l’indipendenza nazionale.
In queste condizioni, il ruolo del Piemonte nel Risorgimento italiano è stato, perciò, quello di aver contribuito alla costruzione di un’unità territoriale-istituzionale più vasta al servizio di un nucleo sociale dominante, unicamente proteso alla tutela dei propri interessi. Per Gramsci, l’Italia non è stata, quindi, socialmente unificata. E’ questa la ragione per cui i governanti italiani, dopo il 1861, hanno goduto di scarso consenso e per decenni hanno potuto governare l’Italia ricorrendo alla forza e non al consenso della società civile nazionale.

In altre parole, i leader del Risorgimento non sono riusciti nell’intento di creare una nazione italiana. Pertanto, la conclusione ultima che si può trarre dall’interpretazione gramsciana del processo risorgimentale è che l’identità dell’Italia come nazione, all’indomani del 1861, è risultata incompleta.

prof. Gianfranco Sabbatini
per esteso l'articolo a : http://www.democraziaoggi.it/?p=1420

ps. Oggi ricorre l'80mo della sua morte, ma credo che la data  passerà abbastanza in sordina, Personaggio scomodo, anche oggi, per i radical chic che detengono le redini. E che campano sull'unità del paese. 

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