IL DOGE, SIMBOLO DELLA REPUBBLICA. I POTERI E IL CONTROLLO SU DI LUI.

Gradualmente il doge non diventò che il simbolo della Serenissima e un vero e proprio prigioniero del suo ruolo. Perfino la sua gondola non era molto più lussuosa di quella degli altri patrizi. E se gli spettava l’appartamento in Palazzo Ducale, all’arredo doveva provvedere di persona. Naturalmente doveva pagare le tasse come ogni altro cittadino, anche se la somma di denaro che gli veniva corrisposta trimestralmente era così esigua da richiedere una grossa integrazione personale.Pur essendo il capo dello Stato non godeva di alcun titolo principesco, era solo Serenissimo, più per riflesso della Serenissima Repubblica, che per se stesso.

Tra i requisiti per l’elezione a doge era richiesto anche quello dell’età. Dal 1355 al 1772 il candidato non doveva avere meno di trent’anni, in seguito l’età fu portata a quaranta. In realtà pochi ascesero al soglio ducale in età giovanile, la scelta cadeva di solito su personaggi anziani o addirittura vecchi, non solo perché si riteneva avessero più esperienza negli affari di Stato, ma anche perché si presumeva non dovessero rimanere a lungo sul trono, e ciò garantiva un’alternanza naturale per la quale non erano necessarie espedienti di altro genere.

La funzione del doge era principalmente quella di rappresentare Venezia e di manifestarne la magnificenza nelle cerimonie pubbliche e nelle relazioni diplomatiche con gli altri Stati. L'unico potere effettivo che non gli fu mai sottratto fu quello di comandare la flotta e guidare l'armata in tempo di guerra. Per il resto egli si limitava a sedere a capo della Signoria, formata dal doge stesso, da sei Consiglieri ducali eletti dal Maggior Consiglio e dai tre capi della Quarantia Criminale, che costituiva un tutt'uno con il potere ducale e comprendeva il doge e gli uomini incaricati di coadiuvarlo e sorvegliarlo.

Nei ritratti ufficiali vediamo il doge con la veste scarlatta di prezioso broccato, spesso con manto e collare di ermellino, sul capo il corno che nelle grandi occasioni era tempestato di pietre preziose: il “signore di Venezia” doveva però provvedere al proprio guardaroba.

In politica estera il doge poteva esprimere una linea di condotta ma non sempre le sue direttive erano seguite; non poteva incontrare gli ambasciatori se non in presenza di consiglieri o senatori. Non poteva rassegnare le dimissioni se non in casi eccezionali.

Circondata di sfarzo la carica dogale era costosa e i dogi dovevano contribuire al proprio mantenimento: per questo la nomina era di fatto appannaggio dell’aristocrazia più ricca. Gravosi i divieti che limitavano pesantemente perfino la loro stessa vita privata: non poteva possedere beni fuori dello Stato né allontanarsi dalla città senza il consenso della Signoria.
Al doge era inoltre proibito spedire o aprire lettere se non erano presenti almeno due testimoni, accettare regali da persone che non appartenevano alla sua famiglia, permettere ai sudditi di baciargli la mano o di parlargli stando in ginocchio.
Non poteva neppure recarsi privatamente a far visita a parenti e amici o frequentare teatri se non accompagnato da qualche consigliere; non poteva uscire da palazzo se non nelle occasioni stabilite dal protocollo; come privato cittadino poteva uscire di casa ma doveva sempre essere accompagnato e per uscire dalla città doveva chiedere ed ottenere una particolare licenza.
Leggendo le descrizioni e le cronache delle apparizioni pubbliche del doge, non si potrebbe sospettare che egli fosse “…re nella porpora, senatore nel senato, prigioniero nella città, cittadino privato fuori della città”.

Dal sito "Venipedia.it"

Commenti

  1. A differenza dei governanti italioti,chi diventava Doge,lo faceva per onore,per "spirito di appartenenza",insomma credeva in quello che faceva!. Che differenza che c'è con il letamaio e il declino attuale. W. S. M

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