LA DONNA VENETA E LE ANTICHE RADICI DELLA SUA AUTONOMIA

La figura femminile nella civilta’ venetico hallstattiana e i suoi riflessi nella civiltà veneta moderna

Reperti archeologici abbondanti testimoniano l’esistenza di un’unica civiltà che parte dal bacino danubiano e arriva fino al Po (il giacimento più importante è da considerarsi la necropoli di Hallstatt, in Austria). Attraverso essi, si può ricostruire l’importante ruolo della donna nella società di allora, un’eredità che ritroviamo ancora riflessa nel particolare diritto matrimoniale in vigore a Venezia, durante la millenaria Repubblica di San Marco.
REITIA la Dea madre
La donna è mediatrice tra l’umano e il divino, interviene come funzione ordinatrice e decisiva nel destino dell’uomo e della comunità nel suo insieme. Col calendario esse misurano il tempo, fissano le feste annuali e gli atti di culto.
Reitia munita di chiave è la dea del parto e della guarigione (appellata. pora e sainati). Simile alla Dea Ecate, con la chiave in mano è custode della vita e della morte. Le chiavi trovate nelle tombe di alto rango femminili ne testimoniano l’importanza, poiché il possesso e la custodia di tale oggetto indicava un indubbio potere riconosciuto loro dalla società. Essa è raffigurata, se di alto rango, con ricche vesti che scendono alla caviglia o al ginocchio, con un copricapo o uno scialle a cappuccio. Il mantello è decorato da centinaia o addirittura migliaia di bottoncini di bronzo o perle di pasta vitrea. Gli orecchini sono l’oggetto tipico delle sepolture di donne sacerdotesse, di rango sociale molto elevato. In casi rari sono d’oro (Hallstatt).

Nell’arte delle situle compaiono donne che portano in una processione dei vasi, contenenti bevande che vengono poi offerte all’uomo assiso in trono. Si ha l’impressione che tale offerta sia esclusiva della donna, padrona della casa.  L’iconografia delle situle ritrae donne impegnate in scene d’amore. Sono presenti anche scene di aratura e macellazione, quindi si possono interpretare come ultima stazione di un rituale di fertilità, un rito di passaggio che culmina col “matrimonio sacro”.
copula (censurata)
CENSURA IMPOSTAMI DA FBOOK
Il matrimonio viene rappresentato dalla presenza della sola donna accompagnata da oggetti simbolici, a volte invece viene rappresentato in maniera realistica come nella scena presente sul cinturone di Brezje (Slovenia). La donna addobbata con le tipiche vesti è su un trono con un uomo inginocchiato davanti, mentre si accoppia con lei. Che la scena sia rituale lo testimonia la presenza di un vaso sacro, il lebete, posto accanto ai due soggetti. Un soggetto femminile assiso sul trono è una raffigurazione piuttosto rara, poiché esso è destinato ai sovrani anche nell’arte delle situle. Ma ancora più sorprendete appare la scena seguente in cui l’uomo, dopo l’accoppiamento rituale (symplegma, unione, intreccio) occupa il trono che prima era della donna. Si può interpretare così: l’uomo ha acquistato la posizione predominante solo in seguito all’unione con la donna, padrona di casa e detentrice del trono.  Si potrebbe interpretare come indizio di discendenza e diritto ereditario matrilineare, dunque come testimonianza del ruolo politico della donna appartenente a gruppi eminenti della società venetico hallstattiana.
Il ruolo di autonomia e di importanza sociale della donna emerge anche nelle consuetudini dei Veneti di epoca storica, come sottolinea Edoardo Rubini a proposito della libera gestione della dote nel matrimonio prevista nel diritto veneto, che raccoglieva antichissime consuetudini, molto diverse ad esempio da quelle in uso presso i romani antichi dove predominava in ogni senso la figura dell’uomo. Infatti “nel diritto romano la dote si stipulava con il futuro sposo, nel diritto veneziano con la futura sposa; nel diritto romano era la sposa che spesso forniva la futura dote, nel diritto veneziano mai.
Episcopia Corner la prima donna laureatasi a l mondo
Mentre nel diritto romano, fin dai tempi di Giustiniano, la dote è giuridicamente di proprietà del marito, nel diritto veneziano proprietaria della ‘repromissa’ è la moglie”. La dote rimaneva di proprietà della moglie, e una volta rimasta vedova, “si apriva una procedura complicata, nella quale si stabiliva l’ammontare della dote” che veniva così staccata dall’asse ereditario di spettanza ai parenti rimasti. Sciogliendo il matrimonio la vedova poteva chiedere il riscatto della propria dote e reintegrare i propri diritti. Si procedeva con un rito in cui ella o il suo rappresentante, prendeva per mano il “mediàtor”(lat.) rappresentante l’ex marito; quindi interveniva il fidejussore che alzava il braccio e lo abbassava fino a separare la coppia, per scioglierla dal vincolo.

Fonti:

  • BIBA TERŽAN L’aristocrazia femminile nella prima età del ferro.
  • FRANCO MARZATICO, PAUL GLEIRSCHER Eroi tra Danubio e Po dalla Preistoria all’Alto Medio Evo.
  • EDOARDO RUBINI Giustizia Veneta ed. Filippi Venezia.

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