IL RENGO, L'ASSEMBLEA POPOLARE ANTICA CHE CONTROLLA IL POTERE POLITICO

il Palazzo della Ragione di Padova
Somiglianze inspiegabili, se prescindessimo dalle profonde radici comuni, legano l’Austria, la Slovenia, il Triveneto, l’Istria: queste terre portavano i nomi di Raetia, Noricum, Venetia et Histria e formavano il grande comprensorio alpino-adriatico, connotato da profonde affinità etniche. In tutte queste zone durante il Medioevo operarono assemblee popolari come strutture di natura costituzionale, con funzioni deliberative e/o giudiziarie, dotate di articolazione interna.
Ci si domanderà: come poté l’assemblea comunitaria dei Veneti antichi sfociare nell’Arengo altomedievale rimuovendo le modificazioni istituzionali avvenute in età imperiale? Le fonti storiche ci ammaestrano su un punto fondamentale: l’organizzazione religiosa fece da scheletro alla struttura politica. 
a Verona, palazzo della Ragione come a Padova, in funzione anche durante le Signorie locali e poi con Venezia
Gli istituti politici romani furono tralasciati dai Veneti e dimenticati perché la struttura sociale sottostante era tenuta insieme dal collante della Fede comunitaria; la stessa gerarchia ecclesiastica, depositaria dell’identità collettiva, stimolò la nascita di nuove rappresentanze politiche sottoforma di schietta emanazione del popolo; la Pieve, circoscrizione religiosa, era il popolo stesso, come evidenzia lo stesso concetto di plebs racchiuso nella sua radice etimologica.
Così sappiamo che fu il Patriarca di Grado Cristoforo a promuovere ad Eraclea l’istituzione del Dogado nell’Arengo del 697 e ancora nel 942 troviamo il Patriarca di Grado Marin Contarini che presiede a Rivoalto l’Arengo che elegge Pietro Candiano III a Doge. Se si considera il famoso rito di intronizzazione del Duca di Carantania che si teneva in lingua slovena presso Krnski grad/Karnburg in Carinzia (ŠAVLI), si coglie una concezione dell’autorità pubblica ed uno stile di governo assai vicini a quello veneziano.
palazzo dei Trecento, a Treviso
Più che come regnante la figura del duca si atteggia a capo di Stato, personificazione della sovranità in quanto espressione del popolo. Il giuramento di fedeltà che è obbligato a pronunciare è un atto pubblico: la sua autorità, quindi, discende dalle leggi e dai diritti che il popolo gli trasferisce. Il potere politico non risponde ad una concezione soggettiva, ma esprime la dimensione oggettiva e collettiva propria di un vero Stato, essendo inoltre frutto di un’elezione popolare.
A Venezia persino le leggi erano deliberate con il sistema delle Promissioni: quando dovevano approvarle, gli organi di governo e l’assemblea popolare giuravano pubblicamente, sicché gli storici del diritto parlano di “concezione pattizia del diritto” a somiglianza dei pacta germanici, in contrapposizione con le concezioni autoritarie del diritto romano (ZORDAN,). 
Ma le coincidenze abbracciano anche i dettagli. In tutti i territori sopra descritti vi erano organi di governo con dodici membri: come la dvanajstija era l’antico collegio di saggi tipico della Slovenia (vigeva anche presso le comunità slovene di Antro e Merso in Friuli) (POVASNICA – D’ESTE), così anche l’antico Consesso tribunizio veneziano - di cui ci parla Vettor Sandi - contava dodici membri, a reggere una confederazione di dodici isole lagunari.
Ancora, in tutti questi territori le riunioni pubbliche si tenevano."

Estratto da "Diritto Veneto"  di Edoardo Rubini, prima Edizione Filippi, Venezia

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